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libro secondo 111

I lacci infranse e dopo quelli rompere
Potè una ragna fatta por insidie;

Lungi scampò, da una foresta che ardere
Densa già si vedea tutta in circuito [peto,
Di molte fiamme; ancora, con grand’im


De’ cacciatori via ratta balzandosi
Dal tirar delle frecce, uscì un’antilope;
Dentro d’un pozzo alfin precipitavasi.
Quando la sorte gli è nemica, provisi,
Provisi alcuno a far atti magnanimi!1


Io però andai in disparte, ma gli altri tutti, nella loro stoltezza, rientrarono nella tana, e intanto quello scellerato di monaco, vedendo il suolo tutto macchiato da stille di sangue, si mise a seguir quella via della tana. Cominciando egli a scavar giù con la marra, ecco che scavando raggiunse il tesoro sopra il quale io sempre soleva stare e per l’ardor del quale io poteva penetrare in ogni luogo più difficile. Il monaco allora così disse tutto contento a Tamraciuda; O reverendo, ora tu puoi dormir tranquillo. Per l’ardor di questo tesoro appunto, il topo ti teneva desto. — Così dicendo, toltosi su quel tesoro, si volse per andare al romtaggio. Ma io, quando rientrai in quel luogo, non poteva più reggere alla vista di quel luogo squallido che rattristava l’animo. Oh! come potro io consolarmene? In questo pensiero, con grande affanno passo per me quel giorno. Quando il sole fu tramontato, io con gran turbamento d’animo e sfiacchito mi condussi, con tutto il mio sèguito, al romitorio, e Tamraciuda, come udì il rumore del nostro assalto, ecco che incominciò a picchiare ancora sulla pentola delle elemosine col suo pezzo di canna. Vrihatsfigi allora gli disse: O sozio, perchè mai questa notte non ti abbandoni tranquillamente al sonno? — e l’altro disse: O reverendo, quello scellerato di topo è ora ritornato con tutti i suoi, e io per timor di lui vo picchiando a pentola delle elemosine con questo pezzo di canna. — L’ospite allora disse sorridendo: O sozio, non temere; con quel tesoro se n’è andato via anche suo potere di spiccar salti. Tale è la sorte di tutti i viventi. Ora è stato detto:


Perchè alcuno prepotente
Voglia opprimere la gente,
Perchè parli ad alta voce,


Veramente ciò procede
Da che molto egli possiede. —


Io allora, udendo cotesto, preso da furore, spiccai d’un tratto un salto verso la pentola delle elemosine, ma non potei giungerla e caddi a terra, e il mio nemico, quando ebbe veduto, così disse sorridendo a Tamraciuda: Vedi! oh vedi caso strano! Ora, è stato detto:


Forte e potente
È chi ha ricchezza,
È sapïente
Chi sta in larghezza.


Guarda quel topo
Che impoverito
Come i suoi pari
S’è impicciolito.


Ora tu puoi dormire senza alcun timore, perchè ciò che gli dava potere per quei salti, è ora venuto nelle nostre mani. Intanto, egregiamente si suol dire:


Quale un serpe senza denti,
Senza umore un elefante,


Tal soltanto ha nome d’uomo
Chi di spiccioli e mancante. —

  1. Detto per ironia.