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secolo, nondimeno nel pubblicare alcune antiche opere non fu molto felice, anche per certa fretta che aveva nel darle fuori.

Ora ciò che l’egregio uomo non potè fare (nè era possibile) col soccorso che quasi unico cercò ne’ manoscritti, e nel codice marciano principalmente, procurerò secondo le mie piccole forze di farlo io coll’aiuto della semplice ragione, nutrita di qualche studio in siffatte cose: parendomi veramente non degno che vada attorno così mal concia una scrittura, ch’è pur citata dall’accademia della crusca fra i testi del bel parlare: benchè alcuni ultimamente, e fra essi l’illustre Ciampi, abbiano congetturato ch’ella non sia del Boccaccio. Se a ragione o no, lascio ch’altri lo giudichi: non essendomi nota che qualche sola parte di ciò che se n’è scritto in favore e contro. Questo bastami di poter dire, che l’antico falsificatore (posto che l’opera debbasi creder falsa) ha saputo non male imitare in alquanti luoghi così la lingua e lo stile, come la pompa un poco affettata di erudizione ed il far talvolta più sofistico ch’eloquente del certaldese. Se non che le invettive contra il gran siniscalco Nicolò Acciaiuoli vi sono si acerbe ed esagerate, che poco o niun luogo lasciano al verosimile: non sapendo chi possa indursi a credere, che tal fosse nella vita privata e pubblica quell’italiano famoso, qual ivi ci viene rappresentato dallo scrittore: fino a tacciare di avarissimo un uomo che dal suo secolo fu piuttosto reputato (userò le parole di Matteo Palmieri) liberalissimo e quasi prodigo: anzi fino a volere oscurar la fama di quel suo valore, che il Giannone chiamò grandissimo.

Leggo ne’ Testi di lingua del Gamba, che que-