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biano fatto gli editori. E nondimeno è così. Taccio del Biscioni: ma non posso tacere di Bartolomeo Gamba, che nella sua edizione milanese del 1829 (tipografia de’ classici italiani) vantossi d’aver ridotto questa lettera a buona lezione. Veramente povero Gamba, che pieno di certa predilezione per essa, compiacevasi tanto, che giudicatala una povera fanciulla di nobile stirpe, e trovatala piagata tutta da capo a piè, aveva adoperato ogni studio perchè risanasse! Sì, ripeto, povero Gamba: quanto egli ingannavasi così in questa sua dolce sicurtà di bene, come nello stimare di aver proprio trovato l’oro traendo della polvere un vecchio manoscritto della marciana! Quasi fossero gran cosa per se medesimi i vecchi manoscritti, e soli bastassero, senza il lume del buon giudizio, a render sicura qualunque lezione di un libro antico! Quanto a me crederò sempre, che co’ soli manoscritti (salvo se non siano dell’autore stesso dell’opera) non si accrescono e non si perpetuano spessissimo che gli errori, i quali non con altro che colla critica, ragione altissima, si correggono.

Io fui amicissimo, e ne pregio, a quell’uomo veramente ottimo e venerando, il quale non ha dubbio che coll’opera de’ Testi di lingua non siasi reso assai benemerito delle nostre lettere, e non abbia a se procacciato un nome fra gl’italiani meritamente chiarissimo. Ma non vorrò per questo tacere, ora che il Gamba è morto, ciò che liberamente gli dissi anche da vivo per la sua prima edizione de’ Fatti di Enea (veggasi la ristampa che poi ne fece in Venezia per l’Alvisopoli nel 1834): ed è, che comunque egli sia stato uno de’ principalissimi bibliografi del nostro