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326 la leggenda di tristano


9. — Il pino.

E dimorando in tale maniera, Tristano giorno e notte in altro non potea pensare se non com’egli potesse parlare alla Reina; e tanto aoperoe che eglino s’andarono a parlare una sera sotto il pino lo quale era nel mezzo del giardino della Reina. Essendo insieme, l’uno desiosamente abbracciava l’altro, e con grande disio l’uno si languiva per l’altro. E Isotta si si doleva molto perché messer Tristano tanto tempo l’aveva intralasciata. E Tristano si scusa a lei e dice che mai no le aveva di suo amore affalsato. E dimorando gli due amanti e dolendosi della troppa contumace, la volontá paceficò loro discordia con grande disianza e piacere d’amore. E tutte le volte che a loro piaceva, s’andavano sotto a quel pino a parlare insieme. E tanto v’andarono che allo Re Marco fue spiato, e per alcuno gli era detto. Non però ch’egli fermamente lo credesse, ma per esserne poi certo, pensò una grande maestria. Ché venendo una sera, lo Re se n’andò al giardino e celatamente si montò in su quello pino, e quivi aspetta e fra sé dice: «Io voglio sapere se questo sará veritá o no» che sua dama Isotta ancora lo tradisca. In tale maniera istando un poco, ecco la Reina uscire per uno picciolo sportello del palagio, e viensene allo giardino. E allora Tristano dismonta per lo muro del chiostro e viensene verso lo pino. E a quel punto lo lume della luna era bello e molto chiaro. E mirando gli due amanti nell’ombra del pino, vidonvi una spera d’uomo; e di ciò amendue dubitarono molto. E a quel punto la Reina, ch’era savia, sí s’affisse, dicendo: «Sire Tristano, fommi grande maraviglia quando per me avete mandato a cosí fatta ora. Giá sapete voi lo incarco che io ho sofferto e patito per voi, e sapete ch’io sono stata accusata a cosí grande torto di cosa che giamai non fu né potrebbe essere né intervenire per tutto l’oro del mondo. Imperoch’io non soe dama al mondo, né credo sia, che tanto ami suo sire quanto io amo lo mio. Ma