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scia a nord-est e a nord, dove montagne, più vicine e più alte, lasciavano apparire strisce di neve tra le loro rugosità. «Sono le Alpi Giulie», egli continuò. «Tolmino è là dietro. Lì a nord, dove la neve è più densa — vedete? — sono le Alpi Carniche e noi combattiamo su di esse; più in là, ad occidente, vengono le Dolomiti, sulle quali i turisti eran soliti di fare ascensioni, descrivendole poi sui libri. Anche lì combattiamo. Le Dolomiti si riuniscono al Trentino e con l’altipiano di Asiago, e anche lì combattiamo. E da quel punto giriamo a nord, prima di incontrare la frontiera svizzera. Tutte montagne, come vedete».

Ed egli le nominava, l’una dopo l’altra, con la facilità di un uomo abituato ad identificare le cime da qualunque angolo visuale e sotto qualunque varietà di luce. Gli occhi di uno straniero null’altro potevano distinguere all’infuori di un baluardo, ben delineato, di montagne accovacciate, «come giganti in cerca di preda», lungo l’orizzonte settentrionale. Il cannocchiale le mostrava sezionate in un viluppo di giogaie, confuse, composte di colline verdeggianti, di alture a picco, squarciate da burroni neri o grigiastri, di un allineamento di rocce senza colore, solcate e striate da bianche chiazze di neve posatesi sulle creste dalle punte aguzze. E, dietro a tutto, un’agonia di balze torturate, delineantesi sullo sfondo del cielo. Gli uomini debbono esser nati nelle montagne o rotti alla vita montana perchè queste rie-