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pacci. A breve distanza, e quasi proprio di là sotto, si poteva vedere che esso, il Mostro, dove non arrotondava il suo ventre come la parte di un bastimento veduta al momento del varo, si innalzava a picco. Ogni dettaglio del suo aspetto mostruoso, messo ancor più in rilievo dalla luce del sole, nell’aria limpidissima, s’imponeva d’un tratto alla vista, opprimendo lo spirito, come potrebbe farlo un nuovo mondo e stancando l’occhio come una fotografia ingrandita a proporzioni gigantesche.

Lo nascose nuovamente ai miei occhi una galleria scavata nella neve, larga abbastanza da contenere un veicolo, tirato da due muli. Questa aveva una tinta bruno-fosca, là dove la volta appariva più spessa, e si illuminava di un fantastico bagliore azzurrognolo, dove era sottile, fino a quando non si apriva sulla luce abbagliante, ove il calore del maggio ne aveva corroso l’arco, liquefacendolo. Vi si transitava però sopra uno strato levigato di ghiaia per tutto il suo percorso e vi erano stati costruiti rigagnoli bene ordinati ai lati, per portar via lo stillicidio della neve. Sia all’aperto, sia nell’oscurità, l’Italia non costruisce che una sola specie di strade.

«Questa è la nostra strada» mi spiegarono quegli allegri fanciulloni. «Non è ancor compiuta... Perciò voi prenderete posto sul dorso di questo mulo e noi vi condurremo fino agli ultimi tratti, pochi passi soltanto più in su».

Volsi nuovamente lo sguardo verso le dighe ne-