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che pompava l’acqua — attraverso i condotti, su per i monti, sopra i piani ed anche al di là; attraverso la nebbia lontana — alle truppe assetate, giacenti nelle trincee senz’acqua. «Qui abbiam fatto fuggire una volta gli Austriaci» — disse l’ufficiale. — «L’unica cosa che ci arrestò fu la mancanza d’acqua. I nostri uomini andarono avanti fino a quando non furono soffocati dalla polvere. Adesso questi condotti li seguono ovunque»

Girammo intorno alla più alta cima del costone e sbucammo fuori sul suo versante più riparato, ciò che gli Arabi chiamerebbero «Ventre di pietre». Non vi era ombra di verde, nulla ma soltanto roccia frantumata e rifrantumata, fino a perdita di vista, dallo scoppio delle granate.

Sulla terra, per quanto sconvolta, sia pure con qualche sforzo, si può sempre camminare; ma qui non v’era posto da mettere il piede; pareva di trovarsi in preda a un incubo. Neanche due frantumi erano identici l’uno all’altro, e quando si inciampava sull’orlo di una fossa scavata dall’esplosione di una granata, i cigli si sgretolavano e rotolavano crepitando. Grandi tombe comuni erano ammassate, ed arginate, lungo i loro fianchi, con muri di pietra. Sopra uno di questi cumuli di messi falciate dalla morte, qualcuno aveva posato un vecchio femore di color bruno. In quella località aleggiavano gli spiriti, nella calda luce del giorno, mentre la pietra fremeva sotto la canicola. Punte aride ed aguzze, come le coste di una mucca, ergevansi lungo la catena montuosa