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100 LA GUJffTEttrt DI C4TEBm4 mflIEMCI.

sona. Fra Vercelli e Pavia, terreno il.più lertiie che veder si possa, vuoi in vini , vuoi in biade, per ano spazio di cinquanta miglia tatto è deserto:» Noi non trovammo né nomo né donna a lavorare nei campi: non vedemmo muovere creatore tiroane, eccetto in tin posto tre povere donne, le qoali co^ glievano in una vigna alcuni grappoli ivi rimasti: Non v' é stata né sementa né mietitura : le vigne son tutte inselvatichite , e le uve andate a male senza che alcuno le cogliesse. In quella contrada é Vi^evsTna, città una voka ra^uardevoìe e torte: ora deserto ed ammasso di ruderi. Pavia fa pietà. Nelle strade bambinixhe piangono, gridando pane, e muoion di-fame. La popolazione di questa città come. di altre italiane, sterminata dàlia guerra, dalla fame e dalla peste: molti anni dovranno pas- sare innanzi che l'Italia ritorni in iSore, tanta è la mancanza di uomini !»

TaFera il paese da cui dovevano cavarsi nove- centomila ducati per rinvestitura del suo signore.' E quel duca in che stato era mar ! Quando Fran' cesco Sforza presentossì in Bologna a Carlo V, e gli rese il salvacondotto, dicendo non abbiso- gnare di altro'salvacondotto che la giustizia del- rii^peratore e la propria innocenza,^ era in uno stato di salute ohe destò epmpassione in • tutti quelli che lo videro. '* Aveva egli allora 37 an- ni. « Sire (così scrisse, da Bologna, Francesco Sforza a Francesco I), il capo d'anno del 4530