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98 LI GIOYPXTÒ DL CATEBINA DE* M«D1CI^

d* intendersi coll’Imperatore. Carlo V chiedeva seicentomilSi ducati per V investitura, chiedeva di più la cessione del ducato pugliese di Barile il monopolio del Sale in Lombardia. Lal)uona intelligenza fu passeggera: F esercito imperiale, che, comandato dal contestabile diBoiimney presidiava le città del ducato, e teneva lo Sforzi)^a guisa di p^ìgiooiero nel casteHo della Capitale, maltrattò nel piìi atroce modo Milano e il terrttoHo,> innanzi d4 marciare verso Roma. Non fuvvi mai per avventura paese cosi-dissanguato, come la Lombardia dalle truppe dell’Imperatore: a tal segno che gU stessi consiglieri, ed ambasciatori dijui non poterono, a meno di appellare alla sua coscienza. Lo Sforzaoella sua disperazione eraM, come il Papa, avvicinato alla Francia: per {^alleanza francese era’ «gli andato al beando deli’ impero; e lo ’ spagnio]o Aotonio de Lei va; che comandava in Milanp, nop era uomo da eseguire con qualche mitezza gli ordini del suo padrone. La cosa ^ andò per le lunghe. Nell’ottobre del 1529 il re Enrico Vili ^trovandosi a. Windsor, dimandò all’ambasciatore imperiale Eustachio Chapuis:,0r ditemi che si pensa di fare conquesto povero duca, e qual danno può egli pelarvi? E quindi continuò: Pensano foree di sottometterlo ad una sentenza di arbitri, la quale e^i probabilmente, non senza fondamento, terrà per non affatto imparziale? A me pare uùa gran vergogna che 1! Imperatore possa angustiare a tal segno