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in vigore le ordinanze di Filangieri per gli asportatori e detentori d’armi senza permesso, per effetto delle quali, i contravventori, sottoposti a consigli di guerra subitanei, potevano, com’è noto, essere fucilati.

In Corte erano sempre vive le inquietudini; e però non si cessava di mandar sempre istruzioni e piani al Castelcicala, il quale cominciò a comprendere che il Re e i ministri non avevano più fiducia in lui; tantoppiù che sapeva essere gli ordini e i moniti più severi suggeriti al Re dal principe di Satriano, singolarmente quelli che si riferivano ai movimenti delle truppe; e non ignorava di essere stata offerta ripetute volte al Filangieri la luogotenenza di Sicilia. I movimenti militari sembravano ordinati apposta per demoralizzare le truppe, rallentando quei vincoli di disciplina, che nell’esercito napoletano, il quale era in Sicilia esercito di occupazione, non erano forti. Per un malinteso sentimento del proprio dovere il Castelcicala non mandò le dimissioni; egli si mostrava convinto che avrebbe col suo sistema ristabilito l’ordine nell’Isola, e vi sarebbe forse riuscito se avesse avuto altri generali al suo comando. Di soldati non aveva difetto: in Sicilia se ne contavano più di trentamila negli ultimi giorni di aprile, comprese le guarnigioni delle fortezze.


Rosolino Pilo teneva accese le speranze dei liberali e le audacie degli insorti; egli affermava sempre imminente l’arrivo di Garibaldi con un esercito di volontarii bene armati; e le affermazioni sue erano improntate a tanta sicurezza, che, diffuse con grande abilità, anche fra i soldati, fecero divenire sentimento generale nell’Isola, in quella prima settimana di maggio, che Garibaldi fosse veramente alle porte. Un giorno lo si diceva sbarcato a Trapani; un altro a Sciacca; poi a Girgenti. La fantasia meridionale lavorava in tutti i modi, e nelle campagne la polizia non riusciva più a garantire la sicurezza. Si rompevano i fili del telegrafo; si sequestravano e svaligiavano le corriere postali e i procaccia; si compivano atti di rapina, credendosi di combattere così il governo. Le squadre ingrossavano, reclutando gente d’ogni risma e la mafia, che in quei giorni assumeva un’aria addirittura provocatrice, si dava un gran moto. Si stancava maledettamente la truppa con imboscate e marce faticose. I distretti di Cefalù e di Termini erano agitati più che mai, e i generali Primerano e Cataldo,