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Signore gentili,


Comincio subito col chiedervi perdono, col mettermi tutta — come si suol dire — nelle vostre braccia. E il perchè, eccolo qui, netto e spiccio.

Le illustri colleghe che mi hanno preceduta in questa.... chiamiamola cosi, gara conferitìva, vi hanno procurato molte dolci ore. Vi hanno fatto rivivere il fortunoso trecento, con la grandezza dei suoi ricordi, con la poesia delle sue costumanze; e una lunga schiera di poeti, di novellatori e di dame cortesi è sfilata leggiadramente sotto i vostri occhi pensosi: vi hanno scòrte tra il fervore del tornei, quando i cavalieri — oh gran bontà dei cavalieri antiqui! — non chiedevano alla loro dama che un garbato sorriso o una fascia di seta, da tenersi sul cuore: sempre in grazia di quelle gentili siete penetrate, dalla reggia di Teodolinda al grande salotto luminoso, ingombro di carte, di libri e di ricami, ove s’aggira quella squisita figura di donna e di regina che è Margherita di Savoia; siete state richiamate ai tempi gloriosi in cui le fragili donne, infiammate di sublime carità, correvano volenterose agli spaldi minacciati, pronte alla difesa, pronte all’offesa; e pronte anche — ohimè! — a sacrificare sull’altare della dolcissima patria il sangue dei figliuoli — dei figliuoli, pei quali le madri temono troppo fredda l’acqua del battesimo, troppo ruvido il soave pannolino che ne fascìa — per la prima volta — lo piccole membra delicate.