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accademie uomini nulli, e affidò le cattedre della università e de’ Collegi a gente indòtta e talvolta anche ignorante della lingua, colla quale dovea professare. La verga straniera; la compressione brutale, il cotidiano insulto fatto all’indole ed alla nazionalità de’ soggetti, congiunse gli animi lombardi in un voto solo, rompere le antiche, obbrobriose catene e riunirsi alla grande famiglia, da cui la forza gli aveva disgiunti. È quando Pio IX con una parola — di cui la meschina anima sua non presagiva il senso latissimo — disciolse i lacci de’ prigionieri, aperse agli esuli le porte del patrio nido ed operò che la religione e la libertà si abbracciassero sorelle dopo il lungo divorzio, quel popolo cominciò a dimostrarsi energicamente italiano. Un nuovo arcivescovo toglieva possesso della sua diocesi nel Duomo; e la folla ad accorrere per accompagnarvelo col canto dell’inno al pontefice benedetto. Il paese era schiavo; e nessuno aprì più le sue sale a veglie festose, nessun più bazzicò ne’ teatri e ne’ pubblici passeggi. Le Calabrie insorgevano al grido indignato dell’opulento patriota Romeo; e tutti ad adottare il cappello aguzzo alla foggia de’ contadini calabresi, i quali dalle giogaie de’loro monti rintuzzavano i truculenti sdegni del dispotismo napoletano. La polizia osservava tutto e si cacciava nelle ragunate di popolo per istizzirlo, per farlo prorompere, e con insidie scellerate per trovare occasione di far sangue sulla gente cui la giustizia de’proprii diritti era arma possente. Ma, la lotta legale, cominciata dalla magistratura civile, disciplinava le masse e le accostumava a seguire il dato impulso.

Fino dal 1845 era stata instituita nel regno una Congregazione centrale, presso la quale ogni provincia si aveva il privilegio di spedire due rappresentanti, l’un cittadino, l’altro patrizio; le città regie fruivano anch’esse dello stesso diritto. La loro scelta era fatta dai consigli comunali, e lo eletto dalla pluralità de’ sufragi — ove la polizia non avesse sospetti sur un tal candidato — veniva confermato con nomina sovrana. Giusta le promesse del regolamento organico, scopo principale de’rappresentanti doveva essere lo illuminare il governo sui veri bisogni delle rispettive loro province. Per lunga sequela d’anni, i membri di quella Congregazione, o parlarono a Vienna le parole che Vienna volea si parlassero — e gli ambiziosi, dottissimi in tale fraseologia, s’ebbero premio di siffatti servigi — o prudenti si tacquero. Il deputato Nazzari ruppe primo il silenzio, proponendo si redigesse una petizione al governo, onde ottenere le Riforme di cui il paese provava il più assoluto bisogno. La mozione fu fatta e rimessa al vice-re, onde la si dirigesse all’imperatore. Il bello esempio del deputato di Bergamo veniva imitato dal dottor Meneghini di Padova e dall’avvocato Daniele Manin di Venezia; il quale, non facendo parte della Congregazione centrale, dovette cedere la sua proposta al deputato Morosini per renderla legale. A tali ripetute prove di coraggio civile un’altra ne succedeva nell’Ateneo per opera di Niccolò Tommaseo. Questi lesse dinanzi a numerosa tornata accademica un lungo discorso, cui era subbietto il commento della legge austriaca del 1815 sulla stampa; ei provò quanto quella la fosse liberale e come schiava l’avesse renduta la polizia, che co’ suoi barbarici istinti tarpava le ali al pensiero, inchiodava la parola sul labbro e