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appreso dal Guizot, dai Thiers e dai loro colleghi quella lisciata parola di libertà che l’ambizione mette sulle labbra senza lasciarle agio di scendere sino al cuore. Formulatore in ogni cosa, il pubblico gli credette un animo ben tempro e virile, alieno da subdole arti, di vani onori punto smanioso, e perciò coronava di bella popolarità il nome dell’arcadico poeta, dell’orator fastigioso, dell’estetico gretto e pedante, mentre il governo malsicuro e perverso gli avea dato l’onore della persecuzioni e del carcere. Uscitone appena, ei trovò sulla soglia ovazioni di popolo e principesche scuse. Onde, misurando il merito suo, non dalla facile ebrezza delle turbe, ma dai vasti successi ottenuti, indotto delle rivoluzioni e della scienza di Stato, non resse all’avidità del signoreggiare però superiori voglie; a novelle amicizie e a nuovi atti compose e volto e pensieri. Chiamato allo incarico di gittare le basi dell’edifizio costituzionale, avrebbe potuto comporre un lavoro originale rispondente ai tempi ed all’indole del genio italiano. Egli invece tradusse quasi testualmente la Costituzione francese del 1830, vi aggiunse la censura preventiva sulle materie teologiche e sulle opere che ne trattano ex professo, per assoluta volontà del re: non vi fece motto del diritto di associazione, nè dell’ordinamento dei giurati; oltre a ciò fece illimitato il numero de’ pari eletti a vita dal principe.

Intanto se una Sicilia era in festa, l’altra era in guerra. Tutta l’isola in potere degli insorti tranne la cittadella di Messina, asserragliata da presso e mancante di viveri e il palazzo reale in Palermo stretto dalle medesime necessità. Ma, quando un popolo intero accorre alle armi col grido «Si muoia senza infamia, si viva senza rimorso», non v’è luogo che possa a lungo resistere. Dopo la vittoria, si profferse all’isola generosa la Costituzione di Napoli con un parlamento doppio ed altre modificazioni adattate a’ suoi particolari bisogni; le si dichiarava altresì che lo esercito, la marina, il corpo diplomatico e le dogane sarebbero comuni ai due Stati. Per unificare richiedesi la spontaneità e non la concessione carpita da virili trionfi. E il governo provvisorio Siciliano, a nome di tutti, rispose all’ambasciatore inglese lord Minto — mediatore di casa Borbone — che i nativi nell’isola, italianissimi di cuore e di speranze, intendevano governarsi separatamente. I soli Messinesi furono solleciti nello accettare le condizioni napoletane e improvvidamente vettovagliarono i forti tenuti dai regii e permisero vi s’introducessero novelle munizioni da guerra venute di Napoli. L’onesto ministro Scovazzo dava ben tosto la sua dimessione.

La vittoria dei Siciliani venne plaudita per tutta Italia. I popoli riformati inalberarooo la bandiera italiana e chiesero guarentigie costituzionali. I giornalisti, i comitati, le guardie civiche riunite, le popolazioni di ogni ceto, di ogni sesso, ne’ teatri, nelle corti dei palagi governativi o de’ principi, colle deputazioni, cogl’indirizzi, co’ cantici, con mille proteste di gratitudine e di affetto, domandavano senza posa che un foglio firmato testimoniasse i doveri del principe e del popolo. Carlo-Alberto fu il primo a riconoscere un tale diritto e ad avvalorarlo. Alcuni devoti suoi e liberali assicurano ch’egli erasi posto sulla nuova via colla idea di non arrestarsi a mezzo; che avrebbe però voluto maturare colle