Pagina:La Italia - Storia di due anni 1848-1849.djvu/24

14

«Io non so comprendere l’attitudine riottosa del nostro governo, il quale mortifica colle persecuzioni la gioventù che spira l’alito del proprio secolo. Vi vorrebbe si poco per contentarla e farsene amare! E nè anche valgo ad ini maginare la sua contrarietà alle strade ferrate, alla illuminazione a gasse, ai ponti sospesi, ai congressi scientifici. La teologia non si oppone — ch’io sappia — allo incremento delle scienze, delle arti, delle industrie... Ma.... già... io non intendo un ette in politica, e forse sbaglio.»

Ma, il di che s’ebbe cinte le tempia della tripla corona, ed egli, buono amministratore del suo, parco allora per sè e largo pe’miseri, vide lo scompiglio grande nelle pubbliche finanze, le dilapidazioni e l’anarchia completa nelle cose governative e notò lo interesse parziale de’ molti alla continuità dei mali del popolo che Iddio alle sue cure affidava, provò lo sgomento nell’anima e pregò le potenze del cielo lo aiutassero in tanta emergenza. Ei potè porre in atto le riforme domestiche del pontificale palagio col ridurre ai minimi termini i cavalli, le carrozze, lo sfaccendato servitorame e le gastronomiche spese. Ma, per isterpare dalle radici gl’ingenti abusi, eravi mestieri di un cuore più saldo che il suo non era, od essere assecondato da uomini capaci, probi e intenzionati al bene. La polizia non dipendeva da leggi, ma dallo arbitrio di un prelato sedente governatore nel palazzo Madama e dai commessarii sparsi nelle province. La giustizia non era che un vano nome, imperciocché, un ammasso indigesto di motu-proprii e di decreti non rivocati e di autorità d’uso, innestato al vecchio albero del Gius Romano, governava le persone e gli sterminati possessi della Chiesa e impediva le ragioni dei cittadini ed il giudizio dei magistrati; i militari sentenziavano senz’appello sui delitti politici; i giudici erano scelti tra la gente inetta, bacchettona e strisciante nelle sagrestie, o nell’aule prelatizie; e spesso avveniva che un onesto calunniato fosse ritolto dalla sua famiglia e cacciato misteriosamente in un carcere senza processo, senza difesa; e più spesso, un mal cominciato litigio per determinare il limite di un territorio, l’uso di un albero confinante, o delle acque di un ruscello attraversante due campi affaticava i tribunali per più di un secolo, e non giudicato cessava, sol perchè a’ due puntigliosi litiganti immiseriti dal lungo spendere mancavano i denari per vivere. Una masnada di facinorosi— chiamati centurioni dal cardinal-ministro Bemetti che instituivagli a sostegno dell’altare e del trono nel 4831 — scorrazzava armata le Legazioni e le Marche, e, insultando a’cittadini, imponendo gravami a’fattori di padroni liberali od invisi, imprigionando chi più le talentasse, rendeva impossibile la tranquillità, il malo umore ognor più crescente. L’armata senza disciplina, senza istruzione, senz’amore pei capi, nè pel governo, reclutavasi nelle bettole, ne’ trivii e sulla porta delle carceri correzionali; i gradi si comperavano o colle bassezze o coll’oro; e quest’oro chi lo aveva speso recuperavalo sulla paga dei soldati, o sulla cassa militare. Le migliori milizie eran le Svizzere, obbedienti alle proprie ordinanze; ma le costavano il doppio delle schiere formate dagl’indigeni vagabondi, e perciò doppiamente disprezzate e abborrite. E che dirò della finanza, questa parte principalissima di ogni buon reggimento, la quale, diretta dalle economiche dottrine,