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e la bassezza dell’animo, divenute mala indole nelle classi ehe più di tali cose aprono industria, spingevano la gente a sciami ne’ ministeri per mendicarvi abiettamente un impiego, un grado, uno incarico lucroso. Pe’ reggitori era motivo di mestizia e di sdegno lo aspetto di una società si corrotta. Alcuno fra essi venne insultato, perchè mal rispondente al voto de’chiedoni; tutti, calunniati da maligne e spregevoli voci. La stampa, vestitasi di tribunicia licenza, profittando delle tendenze governative che altrui davano più libera vita e in sè assumevano le sembianze di una soverchia debilità, non rispettava immacolate coscienze, egregia fama, probità antiche e recenti. Gl’ingiuriosi libelli non risparmiarono nè iltSaliceti, nè il Troia, gli uomini fra i più intemerati ch’io mi conosca. Molti artefici del male venian pur pubblicando strane teorie d’uguaglianza basate sulla pari divisione delle ricchezze e de’ possessi; o italianavano le utopie del Blanc e del Proudhon senza far iscorgere con accurata disamina il buon della idea; o sciorinavano critiche amare e violente contro lo esercito regio, rammentando i suoi atti di Sicilia e delle Calabrie. Cotesta zizzania la doveva essere al certo seminata su tal vergine e fecondo terreno dai retrogradi, dagli esautorati per la nuova forma di governo e da chi si aveva interesse nella confusione, ne’ tumulti, negli odii acerbi tra le milizie stanziali e le cittadine e nelle operose fazioni di piazza. Una gran trama ordivasi all’ombra della libertà contro la benevola iddia; molte penne — o compere o illuse — furono tronche dalla spada della soldatesca contumeliate ed offesa; troppi onesti e liberi cittadini ebbero innocentemente a patire più tardi per quel villano rombazzo di accuse, di calunnie e di strepitosi lamenti. E per fermo, da quei discorsi, da quegli scritti, da quelle opere i buoni che impauravano guardando al passato e, lieti del presente, ne amavano gli ordini nuovi, presagivano pericoli e ruine per lo avvenire, nel veder la opinione pubblica combattuta dalle idee le più strane e le più dannose che mai.

Il novello ministero, composto presso che tutto di buoni elementi, trovavasi per la forza dei casi dannato a sedere sul letto dell’antico Procuste. Al di qua del Faro, germi d’anarchia ognor pullulanti e seminati da quelli che lui prece* dettero al timon degli affari. Al di là, la spinosa questione della Sicilia, il cui governo avea rotto ogni legame con Napoli. Uno il disegno, una la via di conciliazione. Poichè a’ napoletani non era bastato l’animo compiere nel continente la rivoluzione dell’isola,e discacciar Ferdinando dall’insanguinato suo trono, i nuovi consigliatori dovevano persuaderlo a disnudare lealmente la spada a difesa d’Italia; e i due popoli — sì diversi per indole e per tradizioni — si sarebbero al certo intesi a fine di serbare la corona sul capo al principe benemerente. Il Troia pensò e pose in atto un tanto disegno. Ma, il re che nascondeva la fraude nel cuore e, stizzito contro chi avea rotto il suo freno, aspirava alla guerra scellerata piuttosto che alla guerra santa di Lombardia, eludeva ogni ragione e ostinavasi a protestare contro il decreto di decadenza. Egli era concepito in tali termini:

«Visto il nostro atto solenne di protesta del di 22 di marzo 4848, col quale dichiarammo illegale, irrito e nullo qualunque atto contrario agli statuti fondamentali ed alla Costituzione della monarchia: