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fratellanza e morale 151


di evoluzione della massa in quel momento; l’altra, quella dell’individuo, il quale per essere fedele a sè stesso deve necessariamente seguire e adempiere quel­l’ideale e quel dovere che per lui rappresentano la più alta mèta, la verità. L’individuo ha un dovere verso la società, ma ha anche un dovere verso sè medesimo, verso ciò che egli crede il giusto e il vero; se dunque egli si trova di fronte a una situazione, in cui la morale convenzionale esteriore sta in contrasto con ciò che egli ritiene vero e buono, egli ha il dovere di agire in conformità della sua coscienza. E ha questo dovere, anche quando la sua azione individuale possa apparire nociva all’assieme della comunità, purché nella sua decisione non vi sia ombra di sentimento personale, di tornaconto o interesse personale. Ma l’uomo s’illude spesso di essere disinteressato e impersonale, e più s’illude la donna, cui la natura passionale vela maggiormente la serenità del giudizio, mentre solo l’abito di una ricerca profonda, obbiettiva, della verità fondamentale, può sviluppare il retto discernimento.

Perchè bisogna qui fare una distinzione delicatissima, ma essenziale. Bisogna distinguere il problema puramente morale da quello del giudizio, del discernimento. Dal punto di vista morale non si può im­putar colpa a un uomo per ciò che egli sinceramente sente, e la concezione diversa che Alfieri e il Procuratore del Re hanno del regicidio mostra come la valutazione etica di un omicidio sia quistione di fede. Ma è quistione di discernimento e di raziocinio vagliare l’obbietto della fede.

E l’uomo deve rendersi conto che per quanto larga e lungimirante la sua visione è pur sempre limitata e non può abbracciare l’intiera ragion d’essere delle cose; egli perciò ha il dovere di tenere in considera-­