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l’essenza. Lo percepiamo, l’amore, ma nessuna definizione è atta ad esprimerlo. Una peculiarità di esso ce ne rivela però l’intima essenza. Nel campo dell’amore più l’uomo opera e più si arricchisce; più dà, e più riceve. Questa legge, che è contraria a ogni legge di natura, mostra come quella dell’amore sia sfera, che trascende il nostro mondo esteriore, e nella quale gli uomini sono fra loro assai più vicini che non sulla Terra. Nell’intima interiorità di ogni uomo, in qualsiasi parte della Terra egli si trovi, vive infatti qualcosa che può intendersi con noi». Ma per raggiungere questa intesa occorre che uno si spogli del suo speciale elemento egoistico, della colorazione personale dei suoi sentimenti, che si liberi dalle passioni, per acquistare quella serenità e quella calma, che gli permetta di prender parte, come fossero sue, alle gioie e alle pene altrui.

È questa verità appunto che viene spesso dimenticata nell’esercizio della carità, quale la si usa ai giorni nostri. Già la parola stessa «carità» associata all’esercizio della beneficenza costituisce di per sè un errore. Per conto mio vorrei veder abolita la parola «beneficenza». Non dovrebbe esistere. Il concetto di «beneficenza» implica oggidì in chi la esercita un senso di superiorità, di benemerenza di fronte al beneficato, che è in essenziale contradizione con lo spirito di Fratellanza che deve informare l’amore del prossimo. La carità è amore, non è beneficenza. La beneficenza è azione, la carità è lo spirito che deve animarla, senza del quale il mèro atto di donare non si eleva al di sopra della sua portata puramente materiale. E qui chi non ricorda le parole di San Paolo ai Corinti: «E avvegnaché io spendessi a nutrire i poveri tutte le mie facoltà e dessi il mio corpo ad essere