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andato, le parve di non restare completamente sola, poichè col piede sfiorava l’avanzo d’un fuoco che aveva illuminato un dolore o un errore simile al suo.

Le ore passarono. Ella pensava:

— Sì, sì, non sono io sola colpevole. Quanti altri, uomini e donne, hanno peccato, hanno commesso delitti, hanno fatto del male! E non tutti sono stati castigati come lo sono e lo sarò io! Perchè questa sorte a me, perchè questa sorte?

Ma era già quasi rassegnata: sapeva ciò che doveva fare. Aspettare: null’altro. Zio Castigu le darebbe un consiglio. E se occorreva presentarsi alla giustizia, ella si sarebbe presentata. E poi... e poi?... Non poteva più pensare al poi; era stanca, il sonno la vinceva. Ma le pareva di non poter dormire, e si accorgeva di esser seduta su quella pietra, dentro quel nascondiglio dove altri assassini, altri colpevoli, altri malfattori avevano portato la loro ansia, il loro anelito di belve sanguinarie inseguite da cacciatori implacabili.

— Come posso dormire, qui... mentre i miei benefattori sono anch’essi rinchiusi in una tana peggiore di questa? — pensava, e dimenticava subito questa domanda, e le pareva che la pietra si movesse, l’apertura si spalancasse, e una figura barbuta apparisse dietro la roccia...

Ella cercava di muoversi, ma non poteva; poi dimenticava tutto, rivedeva la nebbia argentea, in fondo al bosco, la piramide di Gonare, la tomba del gigante.