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l’edera 165


Paulu non replicò. Nel silenzio improvviso si udì il pianto di Rosa, e subito zio Cosimu Damianu, avanzandosi con la bimba fra le braccia, domandò:

— E Annesa? Ditele che dia attenzione a Rosa! Ma che è avvenuto? E Annesa che ha fatto?

Annesa e Annesa. Tutti se la prendevano con lei, ma ella era decisa a lottare contro tutti.

Uscì nel cortile e attinse l’acqua: il cielo non ancora bianco, ma già pallido di un vago chiarore, annunziava l’alba; la luna, grande e triste, calava dietro il muro del cortile, le stelle tremolavano, velandosi, quasi impazienti di andarsene. Annesa avrebbe voluto che la notte non finisse ancora; aveva paura della luce, della gente che si sveglia e pensa ai casi altrui con malignità. La gente? Ella odiava la gente, questa vipera crudele alla quale bisognava dar da succhiare il proprio sangue. Per la gente ella aveva rinunziato al sogno di tutte le donne oneste: al sogno di sposare l’uomo che amava: per la gente, per le sue mormorazioni, per il martirio che la gente avrebbe fatto subire a Paulu se egli lasciava scacciare i nonni e la madre dalla casa degli avi, ella aveva commesso un delitto. Ed ecco che fra poco la gente si sarebbe svegliata, e avrebbe invaso la camera ove giaceva il morto, e lo avrebbe scoperto, denudato, esaminato, e forse avrebbe indovinato la terribile verità.

Più tardi, mentre ella e donna Rachele lavavano il cadavere, don Simone, zio Cosimu e Paulu, seduti attorno al fuoco, presero appunto a parlare