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l’edera 135


Il suo desiderio era così forte che le pareva impossibile non dovesse avverarsi. Poichè il vecchio doveva morire, doveva morire subito. Fra venti, fra dieci, fra due giorni sarebbe stato troppo tardi: la notizia della sua morte doveva raggiungere Paulu al più presto possibile. O l’uno o l’altro!

Le pareva che il destino della disgraziata famiglia stesse in mani sue: nel suo delirio arrivava a dirsi che avrebbe commesso un più grave delitto di quello meditato, se non riusciva a impedire la morte di Paulu, la rovina ultima dei suoi benefattori. O l’uno o l’altro; o l’uno o gli altri!

Di tratto in tratto risuonava nella straducola qualche passo di cavallo stanco; poi il silenzio regnava più intenso.

L’ora passava. La stanchezza, la febbre, il turbamento, ricominciarono a far delirare Annesa; le figure dei sei poveri ripresero il loro posto intorno alla tavola, gli occhi bianchi e gravi del cieco fissavano il tettuccio del vecchio asmatico, la testa enorme di Rosa cominciò a oscillare sull’esile collo della bimba, dal quale pareva volesse staccarsi; donna Rachele s’avanzava con un vassojo in mano, e rideva, come da anni ed anni la febbricitante non l’aveva veduta più ridere; e questa letizia insolita, da vecchia improvvisamente impazzita, esasperava Annesa. Nel suo sogno febbrile ella guardava il vecchio e pensava:

— Con tutta questa gente, anche se l’accesso ritorna, come posso fare io? Tutti mi guardano; anche Nicolinu vede... Non se ne vanno dunque?