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ch’ella fusse quella stessa ch’ella era in verità, anzi che tutto fusse per incanto trasmutato in quella forma; e che le pietre nelle quali io percoteva, fussero stati uomini rimutati in loro; e gli uccelli, ch’io udiva cantare, avessero messe le penne per quella cagione; gli arbori, ch’erano per le ville e per li giardini, avessero germogliate le fronde con quella forza; i fonti ripieni di sangue umano avessero la simiglianza dell’onde. Per simile accidente già mi pensava io che le statue di marmo, le immagini di cera dovessero andare; a’ muri convenisse parlare; a’ buoi e alle altre bestie così fatte fusse scienza mostrar le cose avvenire; al Cielo stesso, e alla spera del Sole credeva essere convenevole dir cose maravigliose. E in questa guisa tutto attonito, anzi per la stemperata voglia mezzo fuor del seminato, non avendo potuto avere arra alcuna della mia cupidigia, e tratto pur da questa vana speranza, me ne andava ogni cosa circuendo. Discorrendo io adunque senza lasciar pertugio alcuno per tutta la città, senza saper come, capitai in piazza; arrivato, ch’i’ fui, vidi una gentil donna da molte fanti e famigli accompagnata camminare d’assai buon passo: l’oro, le perle, e i ricchi vestimenti mostravan veramente ch’ella era donna di grande affare. Erale accanto un vecchione d’assai reverenda età, il quale come più tosto mi vide, disse: Per mia fede questo è il mio Agnolo; e datomi un bacio, bisbigliò non so che nell’orecchie di quella donna, e di nuovo si voltò a me, dicendo: Or perchè non tocchi tu la mano a questa tua madre? Perciocchè io mi perito, risposi, salutare una donna che io non conosca: e divenuto nel volto simile alle vermiglie rose, abbassando il capo, mi stetti fermo. Ma ella, guardandomi fiso, disse: Vedi come si riconosce tutta quella bella effigie della sua santissima madre madonna Lucrezia! guarda come ciascun membro se le rassomiglia, che egli non ne perde nulla! quella grandezza non disconvenevole, quella buona cera non troppo grassa, non soverchio magra, quelle carni brune, quegli