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v.933 libro ventesimoterzo 287

Che sossopra ambedue si riversaro
E lordârsi di polve. E già risurti
Saríano al terzo paragon venuti,935
Se il figlio di Peléo levato in piedi
Non l’impedía, dicendo: Oltre non vada
La tenzon, nè vi state, o valorosi,
A consumar le forze. Ambo vinceste,
E v’avrete egual premio. Itene, e resti940
Agli altri Achivi libero l’aringo.
Obbedîr quegli al detto, e dalle membra
Tersa la polve, ripigliâr le vesti.
   Pose, ciò fatto, i premii alla pedestre
Corsa: al primo un cratere ampio d’argento,945
Messo a rilievi, contenea sei metri,
Nè al mondo si vedea vaso più bello.
Era d’industri artefici sidonii
Ammirando lavoro, e per l’azzurre
Onde ai porti di Lenno trasportato950
L’avean fenicii mercatanti, e in dono
Cesso a Toante. A Pátroclo poi diello
Il Giasónide Eunéo, prezzo del figlio
Di Príamo Licaone: ed or l’espose
Premio il Pelíde al vincitor del corso955
In onor dell’amico. Un grande e pingue
Tauro al secondo; all’ultimo d’ôr mette
Mezzo talento, e ritto alza la voce:
Sorga chi al premio delle corse aspira.
   E sursero di súbito il veloce960
Aiace d’Oiléo, lo scaltro Ulisse,
E il Nestóride Antíloco, il più ratto
De’ giovinetti achei. Posti in diritta
Riga alle mosse, additò lor la meta
Il Pelíde, e diè il segno. In un baleno965
S’avventâr dalla sbarra, e innanzi a tutti