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v.729 libro ventesimoterzo 281

Prenci achivi, ragione ad ambedue
Senza rispetti; ch’io non vo’ che poi730
Dica qualcuno degli Achei: L’Atride
Colle menzogne Antíloco aggravando
Via la giumenta si menò, vincendo
Di cavalli non già, ma di possanza
E di forza. Ma che? Senza paura735
Di biasmo io stesso finirò la lite,
E fia retto il giudizio. Orsù, t’accosta,
Prode alunno di Giove, e giusta il rito
Statti innanzi alla biga, e d’una mano
Impugnando la sferza agitatrice,740
E sì coll’altra i corridor toccando,
Giura a Nettunno non aver volente
Nè con frode impedito il cocchio mio.
   Re Menelao, mi compatisci, accorto
L’altro rispose: giovinetto ancora745
Son io: tu d’anni e di virtù mi vinci,
E dell’etade giovanil ben sai
I difetti: cuor caldo e poco senno.
Siimi dunque benigno. Ecco a te cedo
L’ottenuta giumenta; e s’altro brami750
Del mio, darollo di cuor pronto, e tosto,
Anzi che l’amor tuo per sempre, o prence,
Perdere e farmi ai sommi iddii spergiuro.
   Sì dicendo, di Néstore il buon figlio
La giumenta condusse, ed alle mani755
La ponea dell’Atride a cui di gioia
Intenerissi il cor. Siccome quando
Su i sitibondi culti la rugiada
Spargesi e avviva le crescenti spighe:
A te del pari, o Menelao, nel petto760
Si sparse la letizia, e dolcemente
Gli rispondesti: Antíloco, a te cedo,