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210 iliade v. 561

Di Filétore figlio, alle ginocchia
Lo ferì, l’arrestò, poscia col brando
L’alma gli tolse. Dopo questi Dardano
E Laógono assalse, illustri figli
Di Bïante, e travolti ambo dal cocchio565
L’un di lancia atterrò, l’altro di spada.
Poi distese il troiano Alastoríde
Che a’ suoi ginocchi supplice cadendo
Chiedea la vita in dono, ed ai conformi
Suoi verd’anni pietà. Stolto! chè vano570
Il pregar non sapea, nè quanto egli era
Mite no, ma feroce. In umil atto
Gli abbracciava i ginocchi, ed altro dire
Volea pure il meschin; ma quegli il ferro
Nell’épate gl’immerse, che di fuori575
Riversossi, e di sangue un nero fiume
Gli fe’ largo nel seno. Venne manco
L’alma, e gli occhi coprì di morte il velo.
   Indi Mulio investendo, entro un’orecchia
Gli fisse il telo, e uscir per l’altra il fece.580
Ad Echeclo d’Agénore un fendente
Calò di spada al mezzo della testa,
E la spaccò; si tepefece il grande
Acciar nel sangue, e la purpurea morte
E la Parca possente i rai gli chiuse.585
Colse dopo di punta nella destra
Deucalïon là dove i nervi vanno
Del cubito ad unirsi. Intormentito
Nella mano il guerrier vedeasi innanzi
La morte, e passo non movea. Gli mena590
Un mandritto il Pelíde alla cervice,
Netto il capo gli mozza, e via coll’elmo
Lungi il butta. Schizzâr dalle vertébre
Le midolle, e disteso il tronco giacque.