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v.252 libro decimoquinto 63

E cederò. Ma ben vo’ dirti io pure
(E dal cor parte la minaccia mia),
Se Giove, a mio dispetto e di Minerva
E di Giuno e d’Ermete e di Vulcano,255
Risparmierà dell’alto Ilio le torri,
Nè atterrarle vorrà, nè darne intera
La vittoria agli Achei, sappia che questo
Fia tra noi seme di perpetua guerra.
   Lasciò, ciò detto, il campo e in mar s’ascose,260
E ne sentiro la partenza in petto
I combattenti Achei. Si volse allora
Giove ad Apollo, e disse: Or vanne, o caro,
Al bellicoso Ettór. Lo scotitore
Della terra evitando il nostro sdegno265
Fe’ ritorno nel mar. Se ciò non era,
Della pugna il rimbombo avría ferito
Anche l’orecchio degl’inferni Dei
Stanti intorno a Saturno. Ad ambedue
Me’ però torna che schivato egli abbia,270
Fatto più senno, di mie mani il peso;
Perchè senza sudor la non saría
Certo finita. Or tu la fimbrïata
Egida imbraccia, e forte la percoti,
E spaventa gli Achei. Cura ti prenda,275
O Saettante, dell’illustre Ettorre,
E tal ne’ polsi valentía gli metti,
Ch’egli fino alle navi e all’Ellesponto
Cacci in fuga gli Achivi. Allor la via
Troverò che i fuggenti abbian respiro.280
Obbedì pronto Apollo, e dall’idéa
Cima disceso, simile a veloce
Di colombi uccisor forte sparviero
De’ volanti il più ratto, al generoso
Prïamide n’andò. Dal suol già surto285