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capitolo trentesimo. | 195 |
un figliuolo, a prendere impresa di vendicarla. Leggetela: ella è questa la lettera; e valga essa a convincervi della materna imprudenza, e a far men reo apparire colui.”
Egli raccolse la lettera, e velocemente lessela; poi così disse: “Questa, comecchè scusa non compiuta, è tale almeno che palliando in gran parte il fallo di lui, m’induce a perdonarglielo.”
Allora cortesemente prese per mano il mio figliuolo; ed a quello volgendosi continuò a parlare: “Chiaro mi si lascia vedere, o giovinetto, quanto tu stupisca del qui rinvenirmi. Ma spesse volte e per men gravi cagioni visitai io le carceri; e mi vi ha ora condotto il desiderio di vedere fatta giustizia ad un uomo dabbene che da me altamente e di vero cuore è apprezzato. Per lungo tempo, travestito io e sconosciuto, fui testimonio della benivolenza di tuo padre verso del prossimo. Nel suo piccolo casile mi compiacqui del rispetto, dall’adulazione non contaminato, col quale ei mi accolse; e vi godei di quella felicità negata alle corti, di quei semplici diletti ond’era bello l’umile suo focolare. Ora il mio nipote fu informato volere io qui venire: ed eccolo giunto anche egli. E però sarebbe indebita cosa per lui del pari come per voi il condannarlo senza esame. Se v’ha ingiuria, avravvi anche riparazione; perocchè senza vanagloriarmi soverchiamente, posso dire che niun uomo tacciò mai d’ingiustizia Guglielmo Thornhill.”
Allora finalmente giù dagli occhi ne cadde un velo, e manifesto si vide che la persona da noi per sì gran pezza in casa nostra ricevuto come un buon pastricciano allegroccio, altri non era che quel signor Guglielmo sì decantato per le sue virtù e pe’suoi ghiribizzi. Il povero Burchell sotto meschini panni era, in fatto, uomo ricchissimo e tenuto in alta stima; perocchè a lui porgeva attento orecchio il senato, e le fazioni tutte applaudivano; essendo amico egli della sua patria, ma fedele al suo re. Mia moglie ricordandosi allora l’antica famigliarità, si ristringeva