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190 il vicario di wakefield.

Sofia è qui; la mia sorella ascende le scale col nostro antico amico il signor Burchell.”

Subitamente mi vidi innanzi la mia cara fanciulla, la quale fuor di sè quasi per la gran gioia mi si avventò al collo; e tale era il tumulto dei teneri affetti di lei, che, baciandomi e ribaciandomi, ella non sapeva da me distaccarsi. Piangeva taciturna la madre; e quel pianto palesava quanto la donna fosse contenta.

“Ecco, o padre mio,” esclamò la vezzosa fanciulla; “ecco l’uomo dabbene che mi liberò. Alla intrepidezza di lui vuolsi ascrivere la mia buona ventura, il mio salvamento; e grata io gliene sono.”

Voleva ella proseguire; ma l’interruppe un bacio stampatole in bocca da Burchell, che dava a divedere essere egli forse più giulivo di lei.

“Ah! signor Burchell, diss’io, in assai trista abitazione or tu ci ritrovi; e molto diversi siamo noi da quelli ch’eravamo l’ultima volta che ci lasciasti. Tu fosti mai sempre nostro amico e già da gran pezza noi abbiamo detestati i nostri errori vêr te commessi, e ci siam pentiti della nostra ingratitudine. Dopo i modi villani da me usati teco, non mi basta l’animo quasi di mirarti in volto. Ma io spero che mi perdonerai, essendo io stato ingannato da un infame ribaldo vilissimo, che sotto sembianze d’amico mi ha tratto in tutta rovina.”

“Com’esser può ch’io ti perdoni,” rispose Burchell, “se tu non meritasti mai l’ira mia? Vidi allora in gran parte la tua illusione; e non potendo guarirtene, non ne sentii che pietà.”

“Fummi sempre avviso che fosse nobile l’anima tua; ed ora me ne convinci, o Burchell, pienamente. Ma deh! mi racconta, amata Sofia, quali siano stati i furfanti che che ti rapirono, e come ne fosti sottratta.”

“Nulla so dirti, o padre, di quello scellerato che mi ha involata, perchè egli m’è tuttavia ignoto. Piede innanzi