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capitolo ventesimottavo. 179

leggi che buone novelle nella lettera di lui. Egli è il favorito del suo colonnello il quale gli promette la prima luogotenenza che vacherà.”

“Ma lo sai tu di certo?” esclamò mia moglie: “sei tu sicuro che niun guaio l’ha colto?”

“No, o madre, nessun guaio per verità. Vedrai tu stessa la lettera, e n’avrai gran gioia, la consolazione maggiore che in tali frangenti ottenere si possa.”

“Ma sarà scritta proprio da lui la lettera? Sei certo ch’egli sia felice davvero?”

“Qual dubbio, mamma mia, aver puossi di ciò? Egli è felice ora; e sarà un dì sostegno onorato della famiglia.”

“Grazie sieno,” diss’ella, “alla Providenza per avere essa mandata a male l’ultima lettera ch’io gli scrissi. Debbo pur confessare, o marito mio, che quantunque la mano di Dio sia grave sopra di noi per mille versi, in ciò propizia ci è stata. Nell’amarezza dell’ira io aveva scritto al mio figliuolo l’istoria di nostre sventure, scongiurandolo per le benedizioni d’una madre a vendicare suo padre, a vendicar la sorella, a non patire l’onta nostra, se umano cuore egli avesse in petto. Ma grazie sieno di nuovo a lui che governa ogni cosa; la lettera non è capitata alle mani di Giorgio, e tranquilla perciò ritorna l’anima mia.”

“Donna,” diss’io, “mal facesti; s’altri tempi fossero, a te me ne richiamerei con più severe rampogne. Ahi da che tremendo precipizio se’ tu scappata! Quello bastava a spingere te e ’l tuo figliuolo in eterna rovina. E per verità la Providenza ci fu in ciò più benigna che nol siamo noi a noi stessi, serbando quel giovinetto affinchè rimanga egli sovvenitore e padre de’ figliuoli miei quand’io sarò sotterra. Però, moglie mia cara, ingiustamente e contro ogni dovere mi dolgo io dell’essermi tolta qualsisia maniera di consolazione; quando ancora mi resta la conoscenza che ’l mio Giorgio è felice nè sa i nostri tanti travagli, e sussidio egli rimane alla vedova madre,