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178 | il vicario di wakefield. |
mia moglie e della figliuola spasseggiando per la via maestra fuori del villaggio: quando un calesso da posta tirato da due cavalli venne loro dietro; e giunto ov’esse erano, fece alto. Immediatamente un gentiluomo ben vestito, tutt’altri però che Thornhill, scese a terra; ed afferrata la fanciulla attraverso la cintura, strascinolla a viva forza nel calesso quindi ordinato al postiglione che toccasse di sproni, in un batter d’occhio fur lungi.
“Ecco,” gridai com’ebbi ciò udito, “ecco posto il colmo alle mie miserie: nè v’ha cosa del mondo che possa accrescere un’altra sciagura alle mie tante. Oh non una mi resta delle mie figliuole! Non una me ne lascia quello spietato! Ella era nel cuor mio, bella come un angelo, e al par quasi d’un angelo savia. Ed ei me l’ha tolta!”
Per lo dolore mia moglie sarebbe al suolo caduta, se i circostanti da me pregati non le avessero prestato sostegno. Ripigliato ella allora animo alcun poco, a me si rivolse con queste parole: “Più di me, o caro, hai d’uopo tu di conforto. Sono grandi le nostre sventure; ma, e queste sopporterei e maggiori, s’io almeno te vedessi in più tranquillo stato. Tolganmi pure e figliuoli e tutto, purchè te non mi tolgano.”
Procurava Mosè di calmare la nostra angoscia, e ci pregava di non iscorarci interamente, volgendo la speranza a più lieto avvenire. “O figliuolo mio,” gli risposi, “gira lo sguardo per tutto l’universo, e cerca se vi rimanga una felicità per me. Non è egli spento ogni raggio di speranza? O s’uno ne vedi, non è egli oltre la tomba?”
“Buon padre, un momento di consolazione forse ancora ti resta, e ne sarà forse cagione una lettera or ora giunta dal mio fratello Giorgio.”
“Che di’ tu mai? Sa egli quel poveretto le nostre tante traversie? Deh ch’ei non le abbia a dividere con esso noi!”
“Sì, sì, o padre, egli è contento, allegro, felice. Non