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176 il vicario di wakefield.

corsi, per dirmi che, morta essendo la mia figliuola, rivolgessi ogni mio pensiero al restante di mia famiglia, e procurassi di salvare la mia vita che di dì in dì declinava per gli stenti e l’inedia.

Aggiunse egli essere dover mio il rinunziare ad ogni orgoglio, ad ogni privata collera pel bene di loro che da me aspettavano sostentamento; e giustizia e ragione comandare a me ch’io studiassi ogni maniera di rappattumarmi col mio padrone.

“Lode a Dio,” risposi, “non è orgoglio più nel mio cuore, e detesterei me medesimo se vi covassi favilla ancor di superbia o d’ira. Per lo contrario, essendo stato già mio parrocchiano colui che m’opprime, io accolgo speranza di potere un dì presentare l’anima di lui monda all’eterno tribunale. Non l’odio io no; e quantunque ei m’abbia tolto ciò ch’io teneva più caro de’ suoi molti tesori, quantunque ei m’abbia lacerato l’animo, e trattomi in infermità gravissima e quasi al sepolcro, ti giuro ch’io non bramo vendetta. Però son pronto ad approvare i suoi sponsali; e se grata può a Thornhill riuscire la mia sommissione, ei sappia ch’io dolgomi d’ogn’ingiuria qualunque, con cui io gli abbia mai fatta offesa.”

Il signor Jenkinson presa la penna e l’inchiostro, scrisse la scusa quasi nelle stesse parole da me proferite; ed io vi sopposi il mio nome. Quindi mandai mio figliuolo a portare lo scritto allo scudiero, il quale allora abitava nel suo castello: e dopo sei ore ritornò Mosè con una risposta verbale. Insolenti i valletti e sospettosi non gli volevano accordare ch’egli venisse innanzi al padrone: ma alla fine, vedutolo per buona fortuna uscir di casa per alcune sue occorrenze, come colui ch’era tutto in faccende pel matrimonio che doveva in tre dì celebrarsi; corsogli egli dietro e con umili modi salutatolo, gli aveva consegnata la lettera. Letta quella, il signor Thornhill gli disse essere tarda oramai e vana ogni sommessione, sapere egli aver noi avuto ricorso a suo zio, dal quale era-