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s’era limitata a mandar la notizia d’un richiamo improvviso che Manuel aveva avuto dal suo Governo. E s’apparecchiava a partire; s’apparecchiava a lasciare le stanze, piene di cose dilette, in mano dei periti publici che già avevano scritto l’inventario e avevano stabilita la data dell’incanto: ― 20 giugno, lunedì, alle dieci del mattino.
La sera del 9 giugno, sul punto di separarsi da Andrea, ella cercava un suo guanto smarrito. Nel cercare, ella vide sopra un tavolo il libro di Percy Bysshe Shelley, il medesimo volume che Andrea le aveva prestato al tempo di Schifanoja, il volume in cui ella aveva letto la Recollection prima della gita a Vicomìle, il caro e triste volume in cui ella aveva segnato con l’unghia i due versi:
“And forget me, for J can never |
Ella lo prese, con una commozione visibile; lo sfogliò; trovò la pagina, i segni dell’unghia, i due versi.
― Never! ― mormorò, scotendo il capo. ― Ti ricordi? E son passati otto mesi appena!
Restò un poco pensosa; sfogliò ancóra il libro; lesse qualche altro verso.
― È il nostro poeta ― soggiunse. ― Quante volte m’hai promesso di condurmi al cimitero inglese! Ti ricordi? Dovevamo portare i fiori al sepolcro... Vuoi che andiamo? Conducimi prima ch’io parta. Sarà l’ultima passeggiata.
Egli disse: