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come per nascondersi, col movimento e col brivido d’una persona malata o d’una persona minacciata che abbia bisogno di protezione. Chiedeva ad Andrea carezze spirituali, quelle che nel suo linguaggio intimo ella chiamava “carezze buone„, quelle che la intenerivano e le davano lacrime di struggimento più soavi di qualunque piacere. Non sapeva comprendere come in quei momenti di suprema spiritualità, in quelle ultime ore dolorose della passione, in quelle ore di addio, l’amante non fosse pago di baciarle le mani.

Ella pregava, quasi ferita dal crudo desiderio di Andrea:

― No, amore! Mi sembra che tu sia più vicino a me, più stretto a me, più confuso con il mio essere, quando mi ti siedi accanto, quando mi prendi le mani, quando mi guardi in fondo agli occhi, quando mi dici le cose che tu solo sai dire. Mi sembra che le altre carezze ci allontanino, che mettano tra me e te non so quale ombra... Non so veramente rendere il mio pensiero... Le altre carezze mi lasciano poi tanto triste, tanto tanto triste... non so... e stanca, d’una stanchezza tanto cattiva!

Ella pregava, umile, sommessa, temendo di dispiacergli. Ella non faceva che evocare memorie, memorie, memorie, passate, recenti, con le particolarità più minute, ricordandosi dei gesti più lievi, delle parole più fuggevoli, di tutti i piccoli fatti più insignificanti, che per lei avevano avuto un significato. Il suo cuore tornava con maggior frequenza ai primissimi giorni di Schifanoja.