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stro corpo, sieno le cose più intimamente animate dall’anima vostra, le più spiritualizzate, quasi direi le più pure... Mani di bontà, mani di perdono... Come sarei felice di possedere almeno un guanto: una larva, una parvenza della loro forma, una spoglia profumata dal loro profumo!... Mi date un guanto, prima d’andarvene?

Ella non rispose più. Il colloquio fu interrotto. Dopo qualche tempo, pregata, ella sedè al pianoforte; si tolse i guanti, li posò sul leggío. Le sue dita, fuor di quelle sottili guaine, apparvero bianchissime, lunghette, inanellate. Brillava di vivi fuochi su l’anulare sinistro un grande opale.

Sonò le due Sonate-Fantasie del Beethoven (op. 27). L’una, dedicata a Giulietta Guicciardi, esprimeva una rinunzia senza speranza, narrava il risveglio dopo un sogno troppo a lungo sognato. L’altra fin dalle prime battute dell'andante, in un ritmo soave e piano, accennava a un riposo dopo la tempesta; quindi, passando per le irrequietudini del secondo tempo, allargavasi in un adagio di luminosa serenità e finiva con un allegro vivace in cui era una sollevazion di coraggio e quasi un ardore.

Andrea sentì che, in mezzo a quell’uditorio intento, ella sonava sol per lui. Di tratto in tratto, i suoi occhi dalle dita della sonatrice andavano ai lunghi guanti che pendevano di sul leggío conservando l’impronta di quelle dita, conservando una inesprimibile grazia nella piccola apertura del polso ove dianzi appariva appena appena un po’ della cute feminile.

Donna Maria si levò, circondata d’elogi. Non riprese i guanti; s’allontanò. Invase allora An-