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andò incontro a una quantità di contrattempi, d’impacci, di bizzarri casi; e ricorse, per uscirne, a una quantità di menzogne, di trovati, di ripieghi meschini, di sotterfugi degradanti, di bassi raggiri. La bontà, la fede, il candore di Donna Maria non lo soggiogavano. Egli aveva messo a fondamento della sua seduzione il versetto d’un salmo: “Asperges me hyssopo et mundabor: lavabis me, et super nivem dealbabor.„ La povera creatura credeva di salvare un’anima, di redimere un’intelligenza, di purificare con la sua purità un uomo macchiato; credeva ancor profondamente alle parole indimenticabili udite nel parco, in quella Epifania dell’Amore, al conspetto del mare, sotto gli alberi floridi. E questa fede appunto la ristorava e la sollevava in mezzo alle lotte cristiane che di continuo si combattevano nella sua conscienza, la liberava dal sospetto, la inebriava d’una specie di misticismo voluttuoso in cui ella effondeva tesori di tenerezza, tutta l’onda raccolta de’ suoi languori, il fior più dolce della sua vita.

Per la prima volta, forse, Andrea Sperelli si trovava innanzi a una vera passione; per la prima volta si trovava innanzi a uno di quei grandi sentimenti feminili, rarissimi, che illuminano d’un bello e terribile baleno il ciel grigio e mutevole degli amori umani. Egli non se ne curò. Divenne lo spietato carnefice di sè stesso e della povera creatura.

Ogni giorno un inganno, una viltà.

Il giovedì, il 3 febbraio, su la piazza di Spagna, secondo la parola corsa al concerto, egli la incontrò davanti alla mostra d’un orafo antiqua-