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trovavo la prima primola, il primo raggio di sole! l’occhio stupito della piccola primavera svegliata! E seguivo l’ondeggiar lieve del suo passo, annusando come cane in traccia, fra radici gonfie e germogli diafani, dietro un alioso sbuffo di rugiade erbose, di terra umida, di lombrichi, di succhi gommosi; un odor di latte vegetale, di mandorle amare ― eccolo qui il sorriso roseo dei peschi, incerto com’alba invernale, cara, cara! e scuoto freneticamente questo tronco e quello e questo, spargendomi di petali e di profumi. Per terra schizzano violacee pozzerelle d’acqua, e il passerotto vi frulla con le ali, a becco aperto. Dolce amata mia, primavera!
Qualche volta mi fermavo nel bosco e alzavo il capo verso gli alberi alti e allineati. Udivo sgricciar una foglia, cader una coccola, un pigolío. Poi tutto era silenzio. Io non mi movevo.
Avevo voglia di buttarmi su uno di quei tronchi, stringerlo fra le braccia, stare con lui. Ma avevo paura di far strepito.
Cercavo lentamente con gli occhi una farfalla, un insetto. Niente si moveva. Qualche cosa era nascosta nel fogliame, mi guardava, e io non la vedevo.
Nel bosco rimparai a pregare. Dicevo: ― Dio voglimi bene; Dio voglimi bene. ― Una volta mi buttai per terra e piansi a lungo.
Salto e sbalzo verso il lembo aperto di cielo. Sotto il sole lampeggia e rutila in fondo il dolce ricordo. Dove vado? Lontana è la patria, e il nido disfatto. Ma il vento