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Ah? Ucio! come la cacciò via, ah?!
Era una notte come questa. Gridarono nel quartiere del padrone. Il nostro campanello sonò disperatamente. Balzo a sedere sul letto, l’uscio di babbo s’apre, apre la porta. Vila si precipita in camicia piangente: ― El me copa, ‘l me copa. El me cori drio col s’ciopo.
Papà incatenacciò l’uscio. Disse calmo: ― Qua drento no vien nissun. La se calmi. ― Vila tremava e si torceva le mani.
― I me lassi andar, i me lassi andar, li prego. No ‘l me fa niente. I scusi. No sapevo de chi andar. Ah dio, dio!
Un pugno sulla porta: ― Vila!! ― Vila saltò su; papà la fece sedere e andò ad aprire. Non c’era più nessuno. Ma Vila scappò via, corse dalla famiglia di Ucio, poi rivolò giù a casa sua.
― Porca! puttana! Fora de qua, fora! Va de quela scrova de to mare! Fora!
E la cacciò via di notte, con la serva e un fagotto di biancheria, minacciandola dalla finestra con il duecanne.
― Ah? Ucio?!
Ricordiamo e ci narriamo godendo della scena drammatica, e poi decidiamo a freddo di rislanciarci alla devastazione. Ucio infuriò come la grandine e la bora. Io ero già annoiato, e mangiando un grappolo d’uva pensavo: ― Lavora, lavora, Ucio! Vila iera mia.
Povero Ucio. Io andai in villeggiatura, in Italia, oltre il confine, oltre il ponte dell’Iudrio; e Ucio intanto, per la vendetta, bersagliò con il flobert un fanale della carrozza del padron di casa, e ci lasciò dentro la palla. La