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dine della questura: e, non trovandomi là entro, morto, nè avendosi d’altra parte tracce o notizie di me, quelli del Municipio avevano forse aspettato, tre, quattro, cinque giorni, una settimana, il mio ritorno; poi avevano dato a qualche altro sfaccendato il mio posto.

Dunque, che stavo a far lì, seduto? M’ero buttato di nuovo, da me, in mezzo a una strada? Ci stèssi! Due povere donne non potevano aver l’obbligo di mantenere un fannullone, un pezzaccio da galera, che scappava via così, chi sa per quali altre prodezze, ecc., ecc.

— Io, zitto.

Man mano, la bile di Marianna Dondi cresceva, per quel mio silenzio dispettoso, cresceva, ribolliva, scoppiava: — e io, ancora lì, zitto!

A un certo punto, avrei cavato dalla tasca in petto il portafogli e mi sarei messo a contare sul tavolino i miei biglietti da mille: là, là, là e là...

Spalancamento d’occhi e di bocca di Marianna Dondi e anche di mia moglie.

Poi:

— Dove li hai rubati?

— ....settantasette, settantotto, settantanove, ottanta, ottantuno; cinquecento, seicento, settecento; dieci, venti, venticinque; ottantunmila settecento venticinque lire, e quaranta centesimi in tasca. »

Quietamente avrei raccolto i biglietti, li avrei rimessi nel portafogli, e mi sarei alzato.

— Non mi volete più in casa? Ebbene, tante grazie! Me ne vado, e salute a voi.

Ridevo, così pensando.

I miei compagni di viaggio mi osservavano e sorridevano anch’essi, sotto sotto.