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spirito, che se un usignuolo dà via le penne della coda, può dire: mi resta il dono del canto; ma se le fate dar via a un pavone, le penne della coda, che gli resta? Rompere anche per poco l’equilibrio che forse gli costava tanto studio, l’equilibrio per cui poteva vivere pulitamente e fors’anche con una cert’aria di dignità a le spalle de la moglie, sarebbe stato per Berto sacrifizio enorme, una perdita irreparabile. Oltre a la bella presenza, alle garbate maniere, a quella sua impostatura d’elegante signore, non aveva più nulla, lui, da dare alla moglie neppure un briciolo di cuore, che forse la avrebbe compensata del fastidio che avrebbe potuto recarle la povera mamma mia. Mah! Dio l’aveva fatto così; gliene aveva dato pochino pochino, di cuore. Che poteva farci, povero Berto?

Intanto le angustie crescevano; e io non trovavo da porvi riparo. Furon venduti gli ori della mamma, cari ricordi. La vedova Pescatore, temendo che io e mia madre fra poco dovessimo anche vivere sulla sua rendituccia dotale di quarantadue lire mensili, diventava di giorno in giorno più cupa e di più fosche maniere. Prevedevo da un momento all’altro un prorompimento del suo furore, contenuto ormai da troppo tempo, forse per la presenza e per il contegno della mamma. Nel vedermi aggirar per casa come una mosca senza capo, quella bufera di femmina mi lanciava certe occhiatacce, lampi forieri di tempesta. Uscivo per levar la corrente e impedire la scarica. Ma poi temevo per la mamma, e rincasavo.

Un giorno, però, non feci a tempo. La tempesta, finalmente, era scoppiata, e per un fu-