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Mi cagionava un vero e proprio ribrezzo il veder mia madre, là, in contatto con la vedova Pescatore. La santa vecchietta mia, non più ignara, ma a gli occhi miei irresponsabile de’ suoi torti, dipesi dal non aver saputo credere fino a tanto alla nequizia degli uomini, se ne stava tutta ristretta in sè, con le mani in grembo, gli occhi bassi, seduta in un cantuccio, ma come se non fosse ben sicura di poterci stare, lì a quel posto, come se fosse sempre in attesa di partire, di partire tra poco — se Dio voleva! E non dava fastidio neanche all’aria. Sorrideva ogni tanto a Romilda, pietosamente; non osava più di accostarsele; perchè, una volta, pochi giorni dopo la sua entrata in casa nostra, essendo accorsa a prestarle ajuto, era stata sgarbatamente allontanata da quella strega.

— Faccio io, faccio io; so quel che debbo fare.

Per prudenza, avendo Romilda veramente bisogno d’ajuto in quel momento, m’ero stato zitto; ma spiavo perchè nessuno le mancasse di rispetto.

M’accorgevo intanto che questa guardia ch’io facevo a mia madre irritava sordamente la strega e anche mia moglie, e temevo che, quand’io non fossi in casa, esse, per sfogar la stizza e votarsi il cuore della bile, la maltrattassero. Sapevo di certo che la mamma non mi avrebbe detto mai nulla. E questo pensiero mi torturava. Quante, quante volte non le guardai gli occhi per vedere se avesse pianto! Ella mi sorrideva, mi carezzava con lo sguardo, poi mi domandava:

— Perchè mi guardi così?

— Stai bene, mamma?