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avrebbe sùbito a suon di busse rinfacciato alla moglie il tradimento e incolpato me presso mia madre d’aver recato oltraggio alla nipote?

Romilda infatti sostiene che, poco dopo quella nostra gita alla Stìa, sua madre, avendo ricevuto da lei la confessione dell’amore che ormai la legava a me indissolubilmente, montata su tutte le furie, le aveva gridato in faccia che mai e poi mai avrebbe acconsentito a farle sposare uno scioperato, già quasi all’orlo del precipizio. Ora, poichè da sè, ella, aveva recato a sè stessa il peggior male che a una fanciulla possa occorrere, non restava più a lei, madre previdente, che di trarre da questo male il miglior partito. Quale fosse, era facile intendere. Venuto, all’ora solita, il Malagna, ella andò via, con una scusa, e la lasciò sola con lo zio. E allora, lei, Romilda, piangendo — dice — a calde lagrime, si gittò ai piedi di lui, gli fece intendere la sua sciagura e ciò che la madre avrebbe preteso da lei; lo pregò d’interporsi, d’indurre la madre a più onesti consigli, poichè ella era già d’un altro, a cui voleva serbarsi fedele.

Malagna s’intenerì — ma fino a un certo segno. Le disse che ella era ancor minorenne, e perciò sotto la potestà della madre, la quale, volendo, avrebbe potuto anche agire contro di me, giudiziariamente; che anche lui, in coscienza, non avrebbe saputo approvare un matrimonio con un discolo della mia forza, sciupone e senza cervello, e che non avrebbe potuto perciò consigliarlo alla madre; le disse che al giusto e naturale sdegno materno bisognava che lei sacrificasse pure qualche cosa, che sarebbe poi stata, del resto, la sua fortuna; e