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tori, sotto un’amministrazione provvisoria? E Malagna era morto? E zia Scolastica?

Non mi pareva che fossero passati soltanto due anni e mesi; un’eternità mi pareva, e che — come erano accaduti a me casi straordinarii — dovessero parimenti esserne accaduti a Miragno. Eppure niente, forse, vi era accaduto, oltre quel matrimonio di Romilda con Pomino, normalissimo in sè, e che solo adesso, per la mia ricomparsa, sarebbe diventato straordinario.

Dove mi sarei diretto, appena sceso a Miragno? Dove s’era composto il nido la nuova coppia?

Troppo umile per Pomino, ricco e figlio unico, la casa in cui io, poveretto, avevo abitato. E poi Pomino, tenero di cuore, ci si sarebbe trovato certo a disagio, lì, con l’inevitabile ricordo di me. Forse s’era accasato col padre, nel palazzo. Figurarsi la vedova Pescatore, che arie da matrona, adesso! e quel povero cavalier Pomino, Gerolamo I, delicato, gentile, mansueto, tra le granfie della megera! Che scene! Nè il padre, certo, nè il figlio avevano avuto il coraggio di levarsela dai piedi. E ora, ecco — ah che rabbia! — li avrei liberati io....

Sì, là, a casa Pomino, dovevo indirizzarmi: che se anche non ce li avessi trovati, avrei potuto sapere dalla portinaja dove andarli a scovare.

Oh paesello mio addormentato, che scompiglio dimani, alla notizia della mia resurrezione!

C’era la luna, quella sera, e però tutti i lampioncini erano spenti, al solito, per le vie quasi deserte, essendo l’ora della cena pei più.

Avevo quasi perduto, per la estrema eccitazione nervosa, la sensibilità delle gambe: an-