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IL BUON CUORE 365


Concludiamo: il tunnel è un ripiego, uno sconcio, e porta una spesa grave: il far la piazza concava porta una spesa molto minore, e darebbe a Milano una vera e nuova bellezza, tanto più bella perchè inaspettata; bella la piazza di giorno, più bella di notte, per lo sfolgorio delle luci riflettentesi come in una conca fiorita; e specialmente più bello il Duomo, scopo primo per cui si è fatto la piazza. Io gusto il progetto solo col pensarlo: quanto più quando lo vedessi attuato! Perchè, attuandolo, non si vorrà rendere questa gioia comune a tutti? L. VITALI.

L’Ospedale Maggiore di Milano e le sue destinazioni.

La questione dell’Ospedale Maggiore è antica in Milano. E’ una vexata queustio. Due elementi si riuniscono in perfetto contrasto: la bellezza artistica della costruzione, che risale a una delle epoche più gloriose della nostra città, al principio del dominio di Francesco Sforza, e la insufficienza materiale dei locali per accogliervi tutti gli ammalati che hanno diritto ad esservi ricoverati. L’elemento della grandiosità era però il predominante nella mente dei cittadini: era un elemento perpetuamente visibile agli occhi di tutti, mentre il numero eccedente degli ammalati veniva fatto conoscere solo dalle cronache dei giornali, e da chi, per ragione di ufficio o di bisogno, ne frequentava le sale. L’Ospedale Maggiore è una gloria di Milano, era l’etichetta colla quale i milanesi, con un senso di intima ed aperta soddisfazione, caratterizzavano l’Ospedale Maggiore. Con qual senso di dolorosa sorpresa, e quasi di sdegnosa offesa fummo colpiti quando, alcuni anni or sono, venuto in ispezione governativa a Milano una notabilità medica, il dott. Pacchiotti di Torino, dopo una visita dell’Ospedale, uscì in quella frase scultoria, senza possibilità di replica: l’Ospedale Maggiore di Milano è l’obbrobrio di Milano! Quella frase si inflisse come un marchio di ferro rovente. nelle carni vive di Milano: la questione dell’Ospedale, che si trascinava in modo cronico da molti anni, anche per altre ragioni, divenne da quel momento questione urgente, Noioso ed inutile sarebbe il richiamare tutte le fasi per le quali passò, senza venire risolta, la questione dell’Ospedale; la lite giuridica tra l’Amministrazione dell’Ospedale e i Comuni Forensi dell’antico Ducato di Milano sul diritto di accettazione; la questione amministrativa sul riparto delle spese per la degenza degli ammalati; ed a quale delle autorità superiori governative appartenesse l’obbligo di provvedere alle grosse deficienze che si facevano nel bilancio, prospettando in doloroso avvenire anche la possibilità del fallimento, malgrado l’affluire incessante, meraviglioso, della privata beneficenza. La conclusione ultima però era una sola: così non si può più andare avanti.

Due punti acquisiti per effetto delle lunghe discussioni, erano i seguenti: l’Ospedale Maggiore, che all’epoca della costruzione trovavasi alla periferia della città. per ragioni di igiene dovrebbe riportarsi ancora alla periferia, e il fabbricato attuale adibirlo ad uso di altra grandiosa opera cittadina; o conservato ancora ad ospedale, sfollarlo notevolmente così da renderlo abitazione umana e confortatrice. Ad ogni modo però, qualunque conclusione si prenda, una conclusione artistica si impone: la costruzione architettonica, deturpata nel corso dei secoli, da modificazioni e da aggiunte, suggerite e imposte dai bisogni, richiamarla alle sue linee primitive, od almeno ad una condizione di dignità artistica.

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A questo punto, per rialzare nel concetto di tutti° quale grande opera, nel suo complesso architettonica, sia l’Ospedale Maggiore, ed anche per vedere in giusta prospettiva, quanto in un illuminato ristauro debba essere tolto o conservato, diventa indispensabile una breve monografia dell’Ospedale. I cenni che riportiamo. sono tolti dal libro La Beneficenza in Milano, da noi pubblicato nel 1881. «L’Ospedale Maggiore venne fondato nel 1456 dal Duca Francesco Sforza, che, volendo fare una cospicua elargizione a favore dei bisognosi, dei poveri e degli infermi, fece erigere un grande, solenne Ospedale, tanto solenne da esser degno del suo Ducale dominio, e di una tanta e tanto illustre città. Nel 4 aprile egli, accompagnato dalla sua moglie Bianca, e con grande intervento di clero e di popolo, ne pose la prima pietra. Il nuovo edificio venne ideato e C9strutto dal valente architetto e scultore Antonio Averlino, detto Filarete, di Firenze, autore anche della porta di bronzo della Chiesa di S. Pietro in Roma. Volle il Duca che l’edificio fosse dedicato alla Annunciazione della Vergine Maria, perchè nella sua festa, l’anno 1450, dopo l’assedio di Milano. aveva solennemente nel Duomo, ricevuto il possesso dello Stato dai Sindaci delle varie porte della città; e diede per stemma alla città la bianca colomba, che i pittori, quale simbolo dello Spirito Santo, sogliono dipingere insieme a Gabriele, che dice Ave. E qui vien bene un bella pagina che il distinto sedt-. tore d’arte Luigi Chirtani pose nel suo Capitolo -Milano monumentale, — edito nell’opera Mediolanum, pubblicata in quattro volumi dal yallardi nel 1881. In questa pagina il Chirtani, insieme al ricordo della forma data dall’Averlino all’Ospedale, è accennato anche in qual modo l’Ospedale dovrebbe essere rifatto. «Ad accogliere tante miserie l’Averlino ideava un fabbricato grandioso, a rettangolo, con facciata su tutti e quattro i lati, e tutto girato da un loggiato aperto, che doveva produrre il più magico effetto, e sopra il quale ricorrevano, in cesello di terrecotte, un grazioso ordine di finestre bifore, incorniciate di pam