pregiudizi, formata di tecnicismo, irregimentata nei
sistemi e nelle regole, vita di formole che non ha
e non può concedere alcuna libertà al giovane studioso. Sicchè, fondata sopra un falso vedere della
nostra psicologia, incominciò a tralignare, a non dare
alcun frutto, o così scarso, che tanto valeva il non
averlo dato. Forse che di questo stato patologico uomini eminenti non ci avvertirono protestando? Ma
non ostante le loro proteste, alla riforma, si chiarirono impotenti, e, senza riandare tanti dolorosi perchè di questa impotenza quello che importa di considerare è che essi furono in gran parte vittima, dato
il pregiudizio che si era diffuso tra di noi. Certo,
la nostra scuola si separò dalla vita. Corsero per
due direttive opposte, senza che l’uomo si curasse
dei diritti dell’altra. La vita era azione, moto, fervore di volontà, espansione di forza; la scuola, invece, stasi completa, fossilizzata nell’erudizione, nella
ricerca se i capelli di Beatrice fossero stati bruni o
biondi, ed in tutte le quisquille filologiche. Nessuna
azione educativa in tanto lusso di materie. si partì
dalla scuola, tanto che Io stesso De Sanctis, portò
sulla nostra scuola questo preciso e severo giudizio: «Il tarlo che, secondo me, rode in generale
tutta l’istruzione, e non solo la istruzione infantile
e la istruzione elementare e le scuole normali, ma
un poco le scuole secondarie e, permettetemi che
io aggiunga, le scuole universitarie, è che noi non
abbiamo capito ancora che cosa sia educare i giovani».
Io non so se le cose nostre siano mutate dall’epoca in cui il De Sanctis "portava sulla scuola italiana questo severo giudizio fino ad oggi, (Scritti politici 1890, pag. 39) ma debbo credere che, non solo
non è mutato, ma si è aggravato dippiù, se debbo
ancora tener presente l’allarme, Qhe ogni tanto si
solleva da persone di profonda cultura, e di spiriti
coscienti e premurosi per la nostra gioventù.
Oggi s’imputa all’infiltrazione dei metodi tedeschi
la rovina della nostra scuola. In qu.esta affermazione
vi è molta parte di vero, ma non è tutta la verità.
Non vogliamo attribuire all’azione degli altri, la deficienza nostra, e la nostra incuria. Il male che oggidì tutti deploriamo a me pare si fondi in questo
che noi, infiltrati del metodo tedesco, abbiamo voluto imporre alla nostra scuola, quel metodo istesso,
il quale non corrispondeva nè al nostro genio inè
alla nostra; tradizione.. E’ risaputo che la scuola secondaria, proprio per
la sua finalità, è quasi una preparazione generale alla
vita, e che il suo ufficio educativo e pedagogico in
altro non dovrebbe consistere che, nel ricostruire in
sintesi potente, in forza dinamica, in unità psicologica tutte le forze intellettive e morali dell’individuo,
dandogli una direttiva costante, certa e salda nelle
lotte della vita. Or bene, questo lavoro, ch’è in sostanza un lavoro di genio e d’intuizione, da noi non
fu compreso. Noi non abbiamo considerato lo spirito del giovane, come una forza; una energia vi
vente, alla quale la scuola altro non avrebbe dovuto
dare che i mezzi, per sviluppare tutte le sue Forze
sopite e riposte; noi invece, sulla falsariga tedesca,
l’abbiamo considerato come una tabula rasa, come
una semplice macchina, che noi potevamo a nostro
agio costruire, far funzionare, mettere in moto, con
la precisione meccanica di un orologio. E ci siamo
infatuati in questo concerto, fino al segno, di credere l’ingegno del giovane una potenza neutra indifferente per ogni specie di studi, priva di genialità,
d’inclinazioni, di tendenze, atta, insomma, ad assorbire ed a. ritenere tutto quanto abbiamo creduto fosse
necessario acciò la macchina corrispondesse alle intenzioni dell’artista. Messi oramai su-- questa china,
chi potè più trattenerci? Il moto divenne travolgente
Oggi s’imponeva il latino, domani la matematica,
più tardi le scienze naturali, poi niente filosofia ch’è
dannosa, poco greco perchè inutile, poco italiano
perchè manca il tempo. In questa ridda vertiginosa
il povero gioyane più stordito che convinto, divenne
la vittima del meccanismo.. La ruota doveva girare,
con una fatalità necessaria, e chi se ne lamentava,
s’intendeva, non atto agli studi. Lo studio non fu
adunque coscienza, cioè saper di sapere, ma saper
di sgobbare per superare l’esame, strappare` un titolo, ed uscire dall’incubo. Così avvenne poi il disamore alla scuola.
I rimedi? Molti, e se ne escogitano ancora, e
chissà quando il gran consulto medico sarà finito.
Speriamo che la scuola vorrà vivere fino a quel
tempo!
Or bene, senza voler fare della m.etafisica e molto
meno della dottrina, la salvezza della nostra scuola,dipende, a mio parere, dal guardare il fondo naturale delle cose, ed armonizzarla con esse. Nessuna
cosa, nessuna istituzione può prosperare rigogliosa e
felice, se è divelta dal suo fondamento naturale, sul
fondamento che natura pone, come diceva il nostro
Alighieri; base pratica, concreta, sulla quale la coscienza si sviluppa, e si forma la storia. Ora, la natura da noi fu svisata, o meglio fu forzata, e quindi
incompresa e martoriata. E il iondamento naturale è
appunto l’intima essenza, la forma, come dicevano
gli scolastici, del nostro spirito, e si chiama genio di
un popolo.
Da ciò nasce, che, l’italiano avrebbe dovuto essere
educato secondo il genio della sua razza — genio
latino che ha dello spirito, della natura e della storia,
e quindi della vita una concezione identica- e diversa,
di quella che possiede il francese, l’americano, il tedesco. — Una differenza specifica, ch’è la qualifica
del nostro carattere. L’educatore italiano aveva ed
ha sotto mano fanciulli e giovani italiani, non tede- schi, nè russi, figliuoli- nati sull’Arno, lungo le rive
del Tirreno, o sotto l’Etna ardente. Di questo dato
psicologico finora non si è tenuto nessun conto, ma
invece si è ragionato, così:’ visto e considerato che,
il metodo tedesco aveva educato bene i tedeschi (e
ne vediamo la prova negli effetti’ ) esso, doveva