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IL BUON CUORE 285


non credete: Le opere che io faccio nel nome del Padre mio, queste rendono testimonianza di me. Ma voi non credete, perchè non siete del numero delle mie pecorelle. Le mie pecorelle ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed elleno mi tengon dietro. Ed io dò loro la vita eterna, e non periranno in eterno, e nessuno le strapperà a me di mano. Quello che il Padre ha dato a me, sorpassa ogni cosa, e niuno può rapirlo di mano al Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola)). (S. GIOVANNI Cap. 10).

Pensieri.

L’ufficio ecclesiastico della presente domenica è tutto ordinato a riCordare la magnificenza, la santità della casa che Dio ha voluto scegliere per sè in mezzo alle umili case nostre. La Chiesa, casa di Dio, casa di orazione, tanto nei grandi come nei piccoli centri, s’innalza quasi sempre per l’iniziativa e il concorso di tutto un popolo: siano semplici ovvero siano grandiose le sue linee il Tempio sta ad attestare la fede, la riconoscenza di Migliaia di creature al Padre che è nei cieli. E Dio non sdegna l’omaggio: quando l’opera è condotta a termine i suoi ministri, a suo nome, ne prendono possesso e lo Spirito discende entro quelle mura e le riempie della sua gloria: il Tempio vien dedicato a Dio Ottimo e Massimo e diventa cosa sacra. Per collegare le feste nostre alle feste antiche e farci notare la continuità dei disegni di Dio nella storia dei popoli, oggi nella Messa è inserito un tratto di Vangelo che parla della dedicazione del gran Tempio israelitico: si faceva in Gerusalemme la festa della Sagra. Così noi apprendiamo che coloro che amano Iddio e ne sentono la presenza in mezzo al suo popolo, hanno sempre professato venerazione per quel luogo ove Dio, in modo tutto particolare, si manifesta alle coscienze che lo cercano e lo invocano. Egli riempie di Sè l’immensità dei Cieli: la sua potenza, la sua misericordia seguono la creatura ovunque essa si rifugi: ma pure nella Chiesa a Lui consacrata l’anima si sente più vicina al Santo, le confidenze sono più spontanee, la fiamma della carità si sente meglio al riparo contro le sorprese del freddo egoismo. In quella casa santa Dio ha voluto rivelarci la sua vita divina e su quel modello plasmare la nostra vita: così come nella casa paterna noi, quasi senza avvedercene, siamo venuti a conoscere e abbiamo poi riprodotto in noi la fisionomia particolare di nostra famiglia.

Gesù camminava nel Tempio, pel portico di Salomone. I Giudei allora lo attorniarono. Pei Giudei nel Tempio e attorno al Tempio si svolgeva gran parte della vita: quivi si agitavano le questioni del più alto interesse sociale, morale e religioso: l’ebreo nel suo Tempio si sentiva quasi un re nella reggia; la mente si inebriava di memorie gloriose, le speranze si rinfocolavano e là, nel Tempio di Jehova, il figlio di A

bramo si rammentava di essere rampollo di una stirpe di forti e di santi. Anche per noi redenti da Cristo la chiesa è il santuario ove l’uomo sente di più la sua dignità, la sua grandezza: sente di essere il re della creazione. Nell’officina, nei campi, nelle scuole, nel foro l’uomo non può spogliarsi del suo carattere di creatura che deve lottare contro le esigenze della vita fisica, contro il servaggio della carne. Nella Chiesa invece la terra si slontana, la scena del mondo si scolora: l’uomo si trova faccia a faccia con Dio e non quale servo di fronte al padrone, ma quale amico davanti all’amico, il figlio al cospetto del padre. L’uomo riceve da questo contatto colla divinità qualche cosa di ieratico, di sacro. Difatti le cerimonie del culto sono compiute da uno salo, dal sacerdote: ma mentre da un lato esso si identifica colla persona di Gesù Cristo che, è il sacerdote eterno, d’altra parte il ministro sa di essere moralmente unito al popolo nel cui nome e alla cui presenza offre il sacrifizio: il popolo, a sua volta unito al sacerdote, sente sopra le miserie della sua umanità brillare viva viva la luce della grandezza immensurabile di Dio. Il reale salmista, com’è ricordato da Gesù, aveva chiamato Dei coloro che nella terra di Giuda amministravano in nome di Dio la giustizia, perchè partecipavano per ciò stesso della sua autorità, del suo potere. L’uomo che crede, che è ammesso nella Chiesa ai Sacramenti, ha ben in sè qualche cosa di sublime, di divino. E dopo aver partecipato alle ricchezze della mensa che il Padre celeste tiene imbandita nella sua casa, può di certo il credente t ipetere le parole di Paolo: non sono io che vivò, è Cristo che vive ed opera nella mia anima! Nelle competizioni della vita quotidiana spesso ci tocca abbassare la fronte, vinti dal rossore e dalla indignazione, perchè la sognata unità della grande famiglia umana è lacerata da rivalità, da odii di classe, da vergogne sociali: la vita in comune, che potrebbe essere il più poetico degli idilii in pratica non è che una triste sequela di puntigli, di odii, di vendette o di malintesi per lo meno. Nella Chiesa invece le distinzioni scompaiono, una medesima fede ci unisce, le stesse ansie ci travagliano e le stesse preoccupazioni; una comune speranza ci sostiene, tutti avviati verso un’unica meta che sta ascosa nel mistero dell’eternità. E mentre fuori del Tempio anche le gioie hanno alcunchè di dubbio, di amaro, nella Chiesa, ove si sono svolte le scene più trepide tra l’anima e Dio, i dolori stessi non sono privi di conforto, perchè sappiamo che le nostre lagrime non vanno perdute e c’è chi le conta. Nella Chiesa adunque l’uomo assurge in tutta la sua grandezza — la Chiesa è la patria dell’anima nostra. E così come dell’individuo, la Chiesa è la patria delle grandi società. E’ attorno alla Chiesa che si sviluppa tutta la nostra vita civile, intellettuale e religiosa; ed è riguardando ai loro duomi, alle loro chiese monumentali, che le città più progredite rileggono la storia la