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134 IL BUON CUORE


mi viene corrispondente al vero: era un’anima serena in un corpo dolorante! E ciò non per breve tempo, rna per una lunga serie di anni. Chi può immaginare Donna Rita altrimenti che legata sulla sedia nel suo salottino, vittima del male che l’aveva sorpresa e fatta impotente al moto nella piena esuberanza della vita? Ed ella aveva accettata la sua parte senza recriminazione, senza lamenti. Chi l’ha mai sentita ricordare i suoi mali? Soffriva sempre, soffriva molto, e pareva non soffrisse nulla, non soffrisse mai, anzi era in lei uno studio speciale per non far conoscere, per non far sentire agli altri i suoi mali. Ella non voleva che gli altri venendola a trovare, avessero una impressione di pena. «I suoi dolori li teneva tutti per sè; per gli altri non aveva che un sorriso, sempre vivo e sentito, sebbene abituale, non aveva che parole dolci, soavi, Ftssennate, che aprivano il cuore di tutti alla fiducia, alla confidenza; rispondendo agli speciali bisogni di ciascuno; aprendo il proprio cuore dinnanzi a lei, versando la piena dei propri affanni, nel suo cuore, ognuno sapeva di non trovare una ripulsa, di non ingenerare della noia; anzi si era subito prevenuti da una parola di conforto, di incoraggiamento, che riconciliava alle traversie della vita: si partiva da lei moralmente risanati, contenti, desiderosi di fare il bene, pronti a tollerare i mali, avendo dinnanzi in lei un esempio così eroico di pazienza: questa impressione salutare di pace era come un patrimoni() di cui ciascuno poteva fare assegnamento. Donna Rita non era soltanto una persona cara, affabile, che portava a fare il bene, era, vorrei dire, come una istituzione permanente di bene. E tutto ciò in un modo semplice, spontaneo, naturale, che prendeva la sua inspirazione, la sua forza, in una vita interna di fede, di virtù, di ’criterio: lo spirito cristiano non era da lei ostentato, mà era in lei un fatto, era il suo spirito, era lei. «Sentiva vivamente le gioie di famiglia: aveva provato gran dolore alla perdita del compagno della sua vita, e si era maggiormente legata all’amor dei figli, Riccardo e Matelda, che le corrispondevano con altrettanto amore: era poi oggetto. di speciale animirazione l’assistenza amorosa, eroica della figlia verso la madre, la figlia che divideva e riassumeva la stia vita nelle opere di beneficenza e nell’assistenza della madre, la quale godeva come se fosse consacrato a lei il tempo che la figlia impiegava nell’assistenza degli sventurati, e specialmente dei bambini ciechi, che nella madre e nella figlia sentivano di avere due madri. Povera Matelda!! Nello schianto di aver perduto la madre sola a piangerla col fratello Riccardo, ma così unita a lui prima nelle figliali cure, negli stessi ideali sempre, si consoli pensando che continuando nelle opere di beneficenza, continua ancora metà della vita che aveva colla madre; si consoli col fratello, pensando che la madre sebbene morta non è perduta: partita dalla terra vive nel cielo: i rapporti di affetto sono mutati ma non rotti: si- consoli ripetendo una fra se che la fede le ha reso ben nota e che ora diverrà abituale: nostra conversatio in _coelis est.» Alle parole di Mons. Vitali fecero seguito in rappresentanza dell’Asilo Infantile dei bambini Ciechi, alla cui fondazione tanto contribuì la figlia Matelda, Ispettrice dell’Asilo, le parole piene (li affetto della maestrina cieca Venturelli Carolina, destando negli astanti un senso di vivissima commozione.

Parole funebri

della maestra cieca Venturelli Carolina.

Quanto inatteso, altrettanto ed assai più, triste e doloroso è il mesto ufficio che ora compiamo, d’accompagnare all’ultima dimora la venerata e compianta salma della Nobil donna Rita Crivelli. Cajrati. A chi ebbe la fortuna di conoscerla davvicino, lasciamo il sacro compito di tessere l’elogio della sua vita operosa e santa; i piccoli ciechi dell’Asilo Infantile Conv. L. Vitali, si pregiano solo per mezzo mio, di deporre sulla sua tomba il modesto fiore d’un’in• cancellabile riconoscenza pel bene che ha loro fatto, e il tributo affettuoso d’un imperituro ricordo pel bene che ha loro voluto. Dall’istante in cui il benemerito ed amato nostro fondatore concepì il provvidenziale pensiero di aprire una casa anche pei piccoli ciechi, da quell’istante sino ad oggi, Donna Rita Cajrati non solo permise alla cara sua figliuola signorina Matelda, ma la incoraggiò, la sollecitò a dedicare gran parte dell’operosa sua vita a vantaggio di questa santa, benefica istituzione; rinunziando con generosa bontà a molte ore dell’affettuosa e figliale sua compagnia, pel bene degli infelici. • Pei ciechi educati e istruiti, lo svago più caro e gradito, è la lettura. Ed ecco, donna Rita, Dio sa con quanta fatica per le sue mani, da lungo tempo indolenzite, eccola tutta occupata a trascrivere nel nostro metodo Braille, poesie, racconti, e tutto ciò che poteva sollevarci e dilettarci. Qualche volta, quando appena la- sua salute glie lo permetteva, onorava di sua cara visita il nostro Asilo. Che festa allora pei bambini, di poter avere tra loro, sia pure per poco, la buona e adorata mamma, della cara loro Ispettrice! e Lei, la nobile signora, alla vista di quei visini allegri e felici per festeggiarla, di quelle manine che si stendevano per salutarla, Lei, dimentica delle molte sue sofferenze, porgeva a quelle piccole creature, il suo affabile sorriso, la carezza suà materna; e a tutti, la buona parola d’un affettuoso incoraggiamento. Oh benedica Iddio al modesto fiore di affettuosa riconoscenza che, irrorato dalla celeste rugiada di fervida e costante preghiera, i piccoli ciechi depongono sulla venerata tua tomba, cara e nobile signora, e lo tramuti per Te nella preziosa gemma (l’un eterno gaudio! e possa l’affetto nostro sentitissimo e grato, recare oggi e sempre, soddisfazione e conforto ai cari Tuoi figli che con noi ti piangono e con noi implorano pace al tuo spirito immortale.

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