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130 IL BUON CUORE


l’Egitto venivano colà a recare al Faraone i loro omaggi, accompagnati da canti e dalle genuflessioni rituali; e in quei ricevimenti, e in quelle feste, si spiegava tutta la semibarbara pompa della corte egiziana, con i suoi contrasti di raffinatezze estreme e di rozzezza africana, con le sue numerose figure, quali vestite di tela finissima, quali di pelli d’animali feroci, con i suoi belletti, i suoi tatuaggi, in mezzo ad una profusione di fiori e di profumi. Forse in quella sala si tenevano i banchetti solenni e delle bestiali gozzoviglie succedevano alle cerimonie nelle quali il Sovrano e i suoi sudditi si scambiavano i più iperbolici complimenti, nè più nè meno di quello che fanno ai nostri giorni col loro linguaggio immaginoso i sovrani degli staterelli dell’Africa e dell’India. Da questa sala, attraversando un’anticamera di modeste dimensioni, si arriva al gabinetto particolare di Amenotis III. Coloro che erano ammessi all’onore della presenza reale, quando varcavano la soglia, vedevano sorgere davanti a sè, fra due colonne di legno dipinto, il trono, su cui spiccava in mezzo alla semioscurità la figura luminosa del Faraone, simile ad una divinità, impassibile, gli occhi fissi, il simbolico diadema sulla fronte, nelle mani lo scettro e la croce ansata, tutta rilucente di ori e di smalti. 1 visitatori dovevano coprirsi gli occhi, come se fossero stati incapaci di sostenere il fulgore della faccia divina; poi dovevano stendersi bocconi al suolo e aspettare che il re rivolgesse loro la parola. l’atteggiamento che dovevano prendere i visitatori variava secondo il loro grado e secondo la benevolenza del Sovrano; alcuni dovevano rimanere prosternati addirittura: altri in ginocchio, altri in piedi, ma curvi in avanti, altri, finalmente, avevano il diritto di stare in piedi, chinando soltanto la testa. Come il culto degli dei, così anche i ricevimenti reali erano una specie di azione coreografica, inframmezzata da parole, ciascun atto- della quale era regolato con una minuzia tale da far disperare un maestro delle cerimonie bizantino. La persona ricevuta in udienza dal Sovrano si presentava a lui in mezzo a suoni e canti, e in mezzo a suoni e canti si ritirava; l’etichetta inoltre imponeva che anche le parole dette durante il ricevimento, dovessero essere pronunziate su ritmo, e con intonazioni prestabilite; occorreva, insomma, la t voce giusta» quando unosi presentava al Sovrano d’Egitto, signore della terra, come occorreva per implorare gli dèi, signori del cielo. Numerose erano le sale da bagno, come conveniva a un principe, considerato quale un semidio, e a cui le funzioni sacerdotali imponevano la più scrupolosa pulizia. In tre di queste sale si trovarono delle lastre di pietra e le condutture dell’acqua. In vicinanza di questi furono tratti in luce gli avanzi di alcune camere da letto con la piattaforma sulla quale il letto doveva sorgere. Altre stanze, molto più piccole e nude, sembra appartenessero ai domestici.

Finora non si è trovato alcun indizio dei locali destinati alla cucina, ma, molto probabilmente, col proseguire degli scavi, verranno in luce anche questi; e lo stesso si dica dei magazzini, dei granai, delle cappelle e di altri locali che facevano parte integrante di ogni residenza reale e principesca. Come fosse intensa la vita che in queste residenze si svolgeva, è dimostrato dai bassorilievi che adornano le tombe di El "A marn, nei quali sono rappresentati i palazzi che, ad imitazione di quello di Amenotis, aveva fatto fabbricare il figlio di lui, il fanatico Cuniatonu. Le rappresentazioni di questi bassorilievi sono interessantissime. Vi si vede in una sala il Faraone e la sua famiglia, che ricevono un funzionario: alle porte stanno le guardie, e alcuni ciambellani introducono il visitatore, mentre alcuni schiavi portano i rinfreschi e i regali d’uso. In una delle cappelle si vede un sacerdote, il quale offre dei sacrifici alle divinità; in una cameretta si scorge una domestica intenta a rifare il suo letto; in altre camere stanno gli scribi o altri impiegati, i quali mangiano. In un angolo del palazzo si vede una danzatrice, la quale sta provando un passo, accompagnata sulla chitarra da altre donne, che, insieme a lei, si preparano per la festa della sera. Basta-trasportare queste scene a Medinet, per ripopolare il palazzo rovinato, e per rivederlo quale era nei giorni del suo splendore. In quei bassorilievi, la cura con cui gli artisti egiziani rappresentavano tutti gli episodi della vita famigliare, è così scrupolosa, che certe volte al disopra dei personaggi più caratteristici, sono incise le parole che essi pronunciavano, sicchè sembra veramente che arrivi alle nostre orecchie, indebolita da tanti secoli di lon-’ tananza, l’eco delle loro conversazioni. Il visitatore che conosce le antichità egiziane e che percorre gli avanzi di quelle camere, oggi abbandonate e deserte, rimette istintivamente i mobili al loro posto, i letti sostenuti da zampe di leone, coi materassi rossi, i sedili, i cofanetti di vari colori, i vasi contenenti i profumi e le ampolle di ogni sorta; tutti gli ornamenti, insomma, e tutti i gingilli della civetteria egiziana; e in verità egli non proverebbe una grande meraviglia se in qualche angolo remoto trovasse qualche scriba addormentato o qualche danzatrice intenta a provare un passo.

Religione


Vangelo della terza domenica dopo Pasqua.

Testo del Vangelo.

Disse Gesù a’ suoi discepoli. Un pochettino e non mi vedrete; e di nuovo un pochettino e mi vedrete. perchè io zio al Padre. Disser però tra loro alcuni de’ Non suoi discepoli: Che è quello che egli ci dice: