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IL BUON CUORE 11


l’estro umano non possono avere, per sè stessi; è un addottrinato e genuino elevarsi di un motivo semplice, meglio diremmo umile, che ascende, di per sè, al sublime: un mover di cherubini trasvolanti in un pio zaffiro, non pur soprannaturale, ma paradisiaco: cielo di candori e d’oro.: cielo di Iddio! Tale e tanta inerenza ascetica del soggetto chè della poesia sacra, per davvero! rifugge dai lenocinii, dagli Spasimi convenzionali, venuti, ahimè! di moda in una certa poesia elegiaca, esteriormente pia e pietosa: vera e propria contraddizione nei termini; non oro, ma orpello. Sodo fiori di poesia dai profumi soporiferi asfittici, se pur suggestiva, pur sempre ea.mena profana. E’ visione fantastica, è ipnotismo, fissa la mente ad, un ideale. Sì; ma quale? Lo domanda un poeta, affascinante in sifatta maniera di induzione -pseudo - ascetica; Giovanni Camerana «La ideai mèta è ancor tanto lontana! Oltre i campi, oltre il colle, oltre la forte Selva, oltre tutto!» «Della mèta strana, Sai dirmi îl nome?.’..» (*) No, no; mai potrà essere che per entro la profonda malinconia aristocratica, in una solitudine di anima che le ragioni essenziali della poesia ricerca in un’auto-ispirazione, il poeta, per dotto e sincero che sia, trovi il ’soggetto religioso nella sua interezza. Questo, che è il vero noli me.tangere dell’Evangelista (**). L’effetto che il poeta ottiene non è, nè può essere, mistico; anzi, in rapporto al principio iniziativo — che è Fede, virtù teologale, riterrà, impronta di paradosso areligioso, di delirio ’nevropatico. Entra il poeta nel santuario d’Oropa. Ecco la sua AVE MARIA: Ave Maria, clic dalla nicchia d’oro, Tra i fulgori di tua veste gemmata, Negra in viso, ma bella, ascolti il ’coro, L’ingenuo coro della pia borgata. Ave Maria, di stelle inghirlandata, Curvo e tristo nell’ombra io pur t’imploro:,La valle imbruna, è il fin della giornata, Coi mandrian dell’alpe io pur t’adoro. Tu che salvi dall’ira del torrente, Tu azzurra vision nell’uragano, Tu ospizio infra le nevi ardue, tu oleate Aura, in che orror mi affondo, in che a[gonfia.. L’onta, il ribrezzo, il gran buio crescente, Tu lo sai, tu lo vedi: Ave Maria. Aprile 1882. E altrove: Strada che scendi alla fosca pianura (*) Versi di Giovanni Camerana, pag. 11. Prefazione. Torino, Casa Editrice, Renzo Streglio. (**) S. Giovanni. Vangelo. Cap. XX, 17.

Dal queto e bianco.santuario alpino, • La vita mia tu sembri e il mio destino; Dalla pace discesi alla sventura. Valle d’Oropa; 7 marzo 1883. Dite; oh dite! Maria dunque è vinta?..., Non in tale ambito si libra la lirica della quale parliamo; chè le sue inerenze ed aderenze sono liturgico ascetiche, chè non si affida a fascini sentimentali e rifugge financo dall’abbellirsi di mezzucci ipnotici e melici, dai sussurri de flauti e de’. liuti, dalle armonie onomatopeiche ad effetto; artifizi melodrammatici, romanticherie da chiar di luna; negazioni tutte di quell’astrarre dal mondo, il sine qua non d’ogni ispirazione ascetica. Giova ripeterlo? Il tèma MARIA non si presta a far da romanza; non si acconcia, anzi si ribella ad essere un episodio elegiaco, una variazione melodica su tèmi suggestivi per azione patetica: è arsi divina, non è tesi: è un’immanenza di ascensione al sublime. Sì; prchè Fede è Paradiso, Mentre le passioni e la mondanità ne sono la negazione; Fede è virtù, ed è premio a questa il gustarla rivelandola nella sua intima bellezza; Fede è adorazione, è, preghiera, è gaudio, integrazione del destino umano, canto di gloria; è poesia di Cielo! Non si richiede dunque allo svolgersi perfetto di un tale motivo poetica un’epopea ascetica, un carme, un’immensità estetica addensata in un metro neoarcaico, nè una superlirica apolliinea; nulla di tutto questo, anzi, -il contrario di questo! Ne ’sono eloquente {empio l’Ave Maria, la Salve Regina! le Litanie, il Magnificat, ne’ quali l’arte sta ad essi, come a fiamma, quanto più viva, il diffondersi della luce. Cón biblica integrità, con sobrietà evangelica di mezzi, redimita la forma classica latina da un senso di austero del bello strumento di effusa manifestazione del Vero evangelico, Gioachimo Pecci, nelle Precationes ad Beatam Virginem Mariam,, poeta ed asceta, ne dimostra la «quidditate», cioè l’intima essenza, d’una siffatta lirica. La traduzione, se pur fosse di merito indiscutibile, non vale a dar la identità perfetta dell’originale, di tipica bellezza ascetica Auri dulce melos, dicere, MATER AVE Dicere dulce melos, o pia MATER AVE. Che così suona: Dolcissima all’orecchio è melodia Il dire: AVE MARIA. La melodia più dolce e più soave E’ il dir: PIA MADRE, ave! Ma note d’arpa, al tocco d’angelo rapito in eMasi nell’ora pia, assai più che mesta, nel tramonto della vita, sono l’ultime strofe degli Estremi voti di Leone. Le ripeto da una traduzione, da quella illustre di Giovanni Pascoli:...Da’ suoi vincoli alfine fuggendosi libera via l’anima, subito anela, arde di andare lassù: corre, s’accelera: è quella la mèta del lungo cani[mino: ne la clemenza sua Dio còmpiami i voti che fo.