Pagina:Il buon cuore - Anno XIII, n. 42 - 24 dicembre 1914.pdf/3


il buon cuore 331

Il pregiudizio del coraggio

«Vi sono tra gli uomini degli eroi, vi sono anche dei vili: in queste due classi si dividono nettamente gli uomini». Così dice un sapiente nel poema indiano Mahàbhàrata, e dice una gran corbelleria, Nessun uomo è abitualmente coraggioso, come è invece, ad esempio, abitualmente onesto: ma lo è a volta a volta, a seconda delle circostanze interne ed esterne e della situazione in cui si trova. «Je ne suis brave — confessa lo Stendhal, che fu anche soldato — que quand je suis béte» (i),. E un altro scrittore francese, il Balzac, parlando di sè stesso (lettera del 12 luglio 1828): «Je renferme dans mes cinq pieds toutes les incohérences, tous le contrastes possibles.... Celui qui dira que je suis poltron, n’aura pas plus tort que celui qui dira que je suis exerèmement brave». E un nostro scrittore, il Gozzi: «Credo d’avere due anime: una floscia e l’altra temeraria» (2). Così è di tutti. Se il coraggio fosse, qualche cosa a sè e per sè, non si avrebbe’quel fenomeno così curioso, e pur così frequente, che si chiama timor panico, e cheiopure un nonnulla basta a determinare negli individui e nelle collettività, anche più forti e audaci. Ricordate i bravi del Manzoni che si scompigliano al solo udire i tocchi della campana a martello? «, Eppure erano tutta gente provata e avvezza a mostrare il viso; ma non poterono star saldi contro un pericolo indeterminato». Perciò il più celebre tra gli scrittori di cose militari, il gen. Jomini, dice, nel suo Précis de l’art de la guerre (VII, 47), che bisogna seguire l’uso degli spagnuoli, i quali non dicono mai: il tale è coraggioso, ma: il tale è stato coraggioso in quel giorno. E si può esser, coraggiosi in un senso, e paurosi in un altro. Il Macaulay, nel cap. IV della sua Storia d’Inghilterra, ci descrive due, uomini: il Grey e il duca di Monmouth: il primo, arditissimo in ogni più arrischiata congiuntura, fuorché sul campo di battaglia; il secondo intrepido guerriero, ma pusillanime e molle in tutto il resta Del maresciallo di Lussemburgo c’informa il Saint-Simon (Memorie, II, 92) che era valoroso f i-, no all’audacia sul campo: «pour le reste — aggiunge — la paresse mème». Federico II, fulmine di guerra, dimostrava nella vita privata, — narra il suo biografo (3) — «una timidità naturale che non riuscì mai a vincere». «Questa timidezza, aggiunge, era così grande che, sebbene egli suonasse benissimo il flauto, non poteva quasi eseguire un pezzo davanti a persone che non conoscesse, o per le quali avesse rispetto. Un giorno tentò di suonare in presenza della regina madre; ma dovette rinunciarvi». Forse pensava a lui il Leopardi, allorchè scriveva nel suo Zibaldone (V, 418): «molti sono timidi i quali sono insieme coraggiosissimi. Voglio dire che molti si perdono d’animo nella società, i quali nè fuggono nè temono ed anche volontariamente incontrano i pericoli e i danni e le fatiche e le sof ferenze, e non sostengono gli sguardi o le parole amichevoli o indifferenti di tali di cui sosterrebbero facilissimamente l’aspetto minaccioso e l’armi nemiche in battaglia o in duello». «Je ne congois pas — diceva Napoleone all’O’ Meara a proposito di Murat — (II, 103) comme un C’était un homme si brave pouvait étre si véritablei paladin en campagne; mais si on le prenait dans le cabinet, c’était un poltron sans jugement ni décision». George Sand, che da bambina fu, col padre ufficiale, in Ispagna durante la guerra, narra nelle sue Memorie (II, 199) d’aver udito una volta il Murat gridare come un forsennato, perchè soffriva d’infiammazione viscerale: «J’entendis les cris de ce pauvre héros, si terrible à la guerre, si pusillanime hors des champs de bataille». Al contrario, chissà quanti sopportano animosamente le malattie più dolorose, le più dure privazioni, e tremerebbero al pensiero d’andare a sbudellare e a farsi sbudellare, come il Manzoni definisce il mestiere della guerra! «.Più d’una donna che grida alla vista d’un topolino può avere il coraggio d’;ivvelenare il mar:to. o, che, è peggio, di spingerlo ad avvelenarsi da sè», ha sentenziato il Fielding (4). Sarà vero, pur troppo; ma è vero anche questo: più d’una donna che grida alla vista d’un topolino, può essere coraggiosissima, fino all’abnegazione e al sacrificio, può reggere alla lotta oscura d’ogni giorno colla miseria o col dolore, può essere un’eroina di devozione e di carità. Eroismo e coraggio — si noti -- ben più alto di quello impulsivo e momentaneo, che può anche trovarsi accoppiato al vizio e al delitto. Al qual proposito. è da rilevarsi il fatto, che un nostro psichia tra ha studiato e documentato con molti esempi: «Una nota apparentemente strana della psiche del delinquente è questa, che, in mezzo ad una vita tutta spesa nei più gravi reati, che’ è una dimostrazio ne continua della più radicata perversità, si trova talora più frequentemente che nei normali qualche atto di cosidetto valore, di vero eroismo)) (5). Del resto, si vedono uomini forti sbigottire anche per qualcosa’ di meno d’un topolino. «L’esperienza ha dimostrato che i più prodi militari, soliti a bravare i pericoli e a mirare senza turbarsi l’a3petto della morte, hanno ceduto al timore degli spiriti». E’ un’altra osservazione del Leopardi (nel Saggio sugli errori popolari degli antichi, c. VIII), che forse ricordava quest’altra 91e1 Rousseau nell’Emile: «Fai vu des raisonneurs, des esprits fòrts, dès philosophes, des miiitaires, intr,Spides en plein jour. trembler la nuit comme des femmes au bruit d’une feuille». Ma c’è di più: coraggio e paura, piuttosto che sentimenti contrari, sono spesso correlativi, causa ed effetto a vicenda l’uno dall’altro. A proposito di coraggio femminile, la Sand già citata (II, 188) dice che sua madre era oltremodo.paurosa, ma che ciò appunto le dava il coraggio e la forza di cercare e