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suoi religiosi fu primo tra i primi nella lotta impegnata contro il morbo e la moria. Andava e guidava i suoi discepoli presso i malati, assistendoli, curandoli, governandoli, cibandoli. Passava di porta in porta a distribuire medicine, pane, acqua; ova, carne, vestimenta: quando occorresse a quei miseri derelitti. Nelle ’case ove tutti:erano attaccati dal male, egli e suoi religiosi si sostituivano ai fainigliari nella cura domestica. Nell’Ospizio di S. Sisto morirono in poco tempo tremila persone; Camillo con otto dei suoi discepoli piantò ivi le sue tende, e durò notte e giorno nell’immane e impari lotta contro il male: ben cinque dei, suoi discepoli incontrarono serenamente la morte, attaccati dal morbo, martiri del sacrificio. Non bastando l’Ospizio a contenere 1 numero dei malati, Carriillo prov, vide a sfollarlo: prese in affitto a suo carico, un ampio granaio, lontano dall’abitato, e quivi condusse i più gravi. Per proVvedere il nuovo asilo di mas-, serizie, di, viveri, di medicina, occorreva danaro; e Camillo non interrompeva la sua opera diuturna di infermiere che per correre le vie di Roma, stanco, affamato, mal fermo in salute, raccogliendo offerte e limosine, salendo le scale del palazzo patrizio, fermandosi all’umile porta del tugurio i cui abitanti il contagio della carità da lui diffusa rendeva generosi oltre le loro forze. ’L’inverno’ del 159o-91 fu terribile per i poveri di Roma, anche per il freddo rigidissimo e la spaventosa carestia, che devastò Roma: tanto che fra la,cit"tà e la campagna ne morirono diverse diecine di migliaia, Camillo De Lellis provvide i poveri di vesti, e di cibo; giunse talvolta a spogliarsi dei suoi abiti per vestire quei miseri tremanti di freddo; e quattrocento persone poterono essere ogni giorno nutriti al convento dei ministri degli infermi. Molta gente, per,proteggersi dal freddo, si riparava nelle stalle, nelle grotte, tra i ruderi di Roma antica, ove morivano di miseria e di fame. Là_ andò a rintracciarli Camillo seguito dal suo manipolo di discepoli, recando loro vesti e alimenti, rifocillando. sul posto i sani, conducendo agli ospedali o al convento gli inferini; e spesso’ si doveva provvedere anche a. trasportare al cimitero dei cadaveri Di tali eroismi, che egli rinnovò a Milano, a Torino; a Noia, ovunque infierissela pestilenza o imperversasse la carestia, in un continuo pellegrinaggio di amore, è intessuta tutta la vita di Camillo De Lellis, che passava dall’ospedale alla strada, dalla strada all’ospedale,;n una continua sollecita vigilia di carità, finche, consumato dal suo ardore, dalle sue fatiche, morì in Roma, nella Casa Generalizia dei suo Ordine, la sera del 14 luglio 1614. Il popolo tributò alla sua salma gli onori che spettano agli eroi di Cristo: Benedetto XIV compì e sanzionò l’apoteosi popolare, decretandogli l’onor degli altari e canonizzandolo solennemente. Riassumerne nel breve spazio di un articolo’ la vita operosissima, feconda di insegnamenti e di rinnovazioni, rievocando insieme. la figura di, apostolo,

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di riformatore, di soldato di Cristo, di legislatore del-. la carità, sarebbe stata assurda pretesa: ma era doveroso profilarne in poche, incerte e sbiadite linee la gigantesca figura, oggi che Roma ne celebra il terzo centenario. La sua opera è giunta fino a noi, è ancora viva fra noi: e in questa possiamo meglio conoscerlo. E’ tutto il grande, colossale edificio della carità moderna, di cui vanno orgogliosi i nostri tempi. Camillo De Lellis non è il solo che vi abbia lavorato attorno, chè tutto uno stuolo di grandi e prima e dopo di lui, e insieme con lui, vi portarono la loro pietra; ma la sua impronta è, come l’impronta. degli altri, chiaramente visibile e nitidamente &finCamillo De Lellis, senza doti eccezionali d’ingegno, senza vasta coltura, poco disserendo, molto operando, fu un suscitatore di energie, un educatore di anime, un riformatore e un legislatore della carità: e fu tale semplicemente, umilmente. C’è oggi molta gente che studia scientificamente il fenomeno del pauperismo, indaga, scruta, Coglie nelle’ cause più profonde, nelle origini più oscure e lontane il problema della miseria, stampa libri, accumula volumi,,moltiplica le cdnsultazioni, rinnova le inchieste, appronta tavole statistiche dense di cifre, traccia quadri grafici irti di linee enigmatiche; e non riesce, quando riesce, che ad organizzare della beneficenza, della filantropia..... InChiniamoci dinnanzi all’uomo pio semplice ed umile, che non ebbe altra ricchezza che quella del suo cuore, che non conobbe altra legge, altra guida, altro lume che l’amore, e meditiamo. PIETRO MELANDRI

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SOVRANITÀ DA LEGGENDA

La regina d’Albania Se mai vi fu epoca poco favorevole allo sviluppo delle leggende è senza dubbio la nostra, non solo quella dei nostri *giorni; ma anche dei più prossimi cinquantenni. Eppure di tanto in tanto, le sorti dei popoli e anche quella degli uomini, di taluni uomini per lo meno, è travolta nell’inatteso, nel fantastico, nell’avventuroso come in una vecchia fiaba; finchè la più comune realtà costituita e resa invincibile dall’accumularsi dei secoli, che hanno gradatamente elevato la forza della collettività per attenuare quella degli individui — soli possibili protagonisti delle leggende — fa giustizia o ironica o catastrofica dei più pittoreschi elementi. Qual’è il motivo dominante delle favole belle che attraggono ed esaltano ’i ragazzi? Quasi esclusivamente la prodigiosa creazione di principi, di re e di regine. Dalla piccola «Cenerentola» che lascia il focolare e trova al ballo il principe innamorato, alla bionda «Stellina» smarrita nel bosco, la reggia è la fine e lo sfondo dei maliosi racconti. Del resto,