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teva adattarsi alla compagnia dei mercenari che servivano quel tempo l’ospedale: ed ebbe presto delle brighe coi colleghi. Aveva una passione, il giuoco, che lo faceva cadere nelle stesse negligenze che egli forse rimproverava agli altri. Fu ammonito, castigato,licenziato. Camillo ritornò alle armi, andò a Venezia. Inibarcatosi sulle galee della Repubblica, veleggiò verso Lepanto; ma dovette sbarcare a Corfù per una malattia the lo ridusse in fin di vita. Guarito, ritornò a bordo e riprese la sua vita avventurosa: a Castelnuovo presso le bocche di Cattaro sostenne il fuoco dei Turchi; fu alla difesa di Tunisi e di Goletta; a Zara sfidò a duello un suo camerata, ma la vertenza ebbe fine incruenta, non per interposizione di secondi, ma per l’energico e sbrigativo intervento di un terzo, un ufficiale; a Capri corse pericolo di naufragare; fra Napoli e Palermo fu tre giorni e tre notti in balia delle onde, sconvolte dalla tempesta. A Napoli le truppe furono licenziate, Camillo rimase senza soldo, con la febbre del giuoco che ancora lo bruciava, e giuocò tutto quel poco che gli rimaneva: la spada, l’archibugio, i fiaschi della polvere, il mantello, gli abiti che aveva indosso. Ridotto a chieder l’elemosina si mise a correre il inondo in cerca di fortuna, finché trovò la,sua via di Damasco nella strada di Manfredonia. Solo, nella campagna solitaria, riandando gli anni passati, guardando all’oscuro avvenire cui andava incontro, illuminato da una divina luce interiore, lesse nella.propria coscienza: la parola misteriosa che gli parlava da giovinetto nell’anima si scoprì, si’ rivelò, si fece chiara e imperiosa. Aveva venticinque anni, quando entrò come novizio nel convento dei cappuccini a Trivento, che dovette presto abbandonare per venir di nuovo a Roma a S. Giacomo a farsi curare la piaga che si era riaperta. A S. Giacomo conobbe e coltivò l’amicizia di Filippo Neri; guarito ritornò a Trivento; ma si riammalò; fu dichiarato non idoneo alla vita dell’Ordine Francescano; ed eccolo nuovamente a Roma, a San Giacomo, ove iniziò il suo apostolato fra gli infermi. per gli infermi. A S. Giacomo fu accolto, come si direbbe oggi, nel personale del nosocomio, con l’ufficio di maestro di casa. Egli si diede subito a riordinare, a riformare, ma specialmente ad educare. Radunava gli inservienti, parlava loro come si dovessero curare e trattare i malati e insegnava più con l’esempio che con la parola, facendosi egli stesso infermiere, assistendo con le sue mani i ricoverati, lavando, curando i più infelici i più ripugnanti. Esortava, vigilava, eseguiva per primo le disposizioni e gli ordini che dava: rimise così un po’ d’ordine e un po’ di pulizia nelle corsie; suscitò un po’ di carità verso i malati; ma il male era profondo e bisognava sradicarlo dalla radice: occorreva sottrarre l’ospedale alle mani dei mercenari. Camillo De Lellis pensò, studiò, meditò: il rimedio non poteva essere diverso da quello classico del Cristianesimo: un sodalizio di uomini di buona vo lontà, animati dalla fede e dall’amore, uniti dai vincoli della carità. L’ordine dei ministri degli infermi nasceva nella mente del suo fondatore: non restava che formarlo, ordinarlo, disciplinarlo. L’ospedale stesso fornì al De Lellis i,primi compagni, il primo nucleo della futura grande famiglia. Catechizzati, istruiti, formati da Camillo ben presto uscirono da S. Giacomo e ’si sparsero per gli altri ospedali e per le case ove fossero ammalati. La cosa nuova ebbe, da principio, le accoglienze di1utte le cose nuove: i misoneisti sono di tutti i tempi. Camillo fu guardato con sospetto,’ fu accusato di farsi dei proseliti per impadronirsi dello spedale: i direttori se ne adombrarono, lo rimproverarono, gli ingiunsero di abbandonar tutto, e fecero metter sottosopra la stanza ove egli soleva adunarsi coi suoi discepoli: Tutti gli uomini che hanno fatto e fanno il bene hanno conosciuto queste miserie, hanno vissuto questi dolori. Le persecuzioni non fecero che rendere più tenace il proposito di Camillo, e più salda la sua fiducia nel trionfo della sua causa che era la, causa dei poveri e dei derelitti. Egli perseverò tenace nel suo disegno: incuorò i timidi, tenne a freno temerari, secondò gli audaci, condusse a termine nella preghiera, ’nello studio,,néll’esercizio della carità la ’faticosa preparazione. Riprese gli studii lasciati alla prima adolescenza, tornò a trentadue anni sui banchi della scuola, studiò teologia e fu ordinato sacerdote. Intanto la sua anima, la sua tempra si formavano nell’assistenza ai malati. Passata coi suoi seguaci alla Madonna dei Miracoli a Porta del Popolo, Camillo De Lellis diede forma e disegno alla sua Congregazione già formata nello spirito’ e nelle opere; e con l’e regole che dettò per la sua Famiglia disciplinava quella riforma degli ospedali che più che diretta fu eseguita, vissuta da Camillo e dai suoi compagni, e fu universalizzata più dall’esempio che dai regolamenti. Crescendo il numero dei discepoli, ben presto la casa attigua alla Madonna dei Miracoli fu piccola per la già numerosa famiglia, e Camillo passò ad una casa in via delle Botteghe Oscure, donde emigrò nel 1586 alla Maddalena, che divenne la Casa Generalizia, del nuovo Ordine, che sì diffuse ben presto in tutta Italia, rinnovando ovunque con la riforma ospedaliera i prodigi della pietà cristiana. Camillo De Lellis peregrinò, seguendo il cammino della sua Congregazione, in molte città d’Italia, ma il campo ove più a lungo rifulse la sua opera di carità e di sacrificio fu Roma, ove combattè le più aspre delle incessanti battaglie che egli ingaggiò contro i mali più terribili: contro la peste, contro la carestia. Memorabile fu il morbo che nel 1589 scoppiò in Roma al monte. Quirinale e nel rione popolare di S. Maria degli Angeli. In molte case giacevano nello stesso letto padre, madre, figli senza una mano pietosa che porgesse loro aiuto; e a migliaia e migliaia morivano i colpiti o per la violenza del male, o per mancanza di soccorso. Camillo De Lellis coi